domenica 20 marzo 2011
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In Giappone cinquanta sconosciuti stanno insegnandoci come vive un uomo. Gli operai che lottano contro la fusione della centrale di Fukushima hanno scelto di morire per compiere il loro dovere. Non per onorare un contratto, perché nessun contratto può importi di crepare, e neppure per obbedire a un ordine, perché quando la Terra trema non c’è gerarchia che tenga. Dicono che siano dei volontari, come i kamikaze della tradizione giapponese, ma questa volta il mondo li chiama eroi perché, se avranno successo, a morire saranno solo loro. Mentre respirano, parlano, lavorano gomito a gomito, questi cinquanta tecnici nucleari – ai quali ora si aggiungono altri 70 vigili del fuoco – sono consapevoli del fatto che tra pochi mesi si spegneranno; potrebbero descrivere minuziosamente la sofferenza che li attende, perché hanno studiato il caso di Chernobyl, dove altri sconosciuti si immolarono.Non raccontiamoci che così muore un giapponese, che questo atteggiamento è frutto di una cultura spersonalizzante e di una formazione esclusiva del Sol levante. Non è stato diverso in Ucraina, quando il mito dell’operaio sovietico era già screpolato. Quanto a quello dell’eroe di Hollywood, i tecnici giapponesi non sono stati reclutati per salvare la Terra; dicono che si siano offerti di restare ma è chiaro che se fossero fuggiti nessuno li avrebbe rimproverati.Il mondo segue le loro gesta da lontano, mentre lavorano nella centrale del terrore, stanchi e affamati, sudati e privati di ogni speranza, dimentichi di ogni progetto, svuotati di ogni volontà che non sia quella di fermare la degenerazione del nocciolo. Come tanti piccoli Davide si accaniscono contro un Golia creato da chi è diverso da loro: perché un terremoto devastante può mettere in crisi qualsiasi impianto nucleare, ma tenere in funzione una centrale degli anni Settanta in zona altamente sismica è un suicidio planetario.Probabilmente scopriremo che Fukushima è figlia dell’oblio del dovere, di manager scelti per la loro abilità e sedotti dalle scorciatoie della finanza, di politici eletti in nome del bene comune eppure dediti solo al proprio… A proposito della politica: da quando si è aperta la crisi abbiamo assistito a scene di schizofrenia. Chi è passato in poche ore dalla difesa intransigente alla rinuncia del programma nucleare e chi ha colto al volo l’occasione per riproporre l’illusione del desviluppo.Da decenni viviamo tutti quanti anestetizzati in questo gioco crudele che confonde show e realtà e che regge fintanto che non ci si trova 'dentro la notizia', come capita ora a quei cinquanta. Sono così vicini a noi da essere seguiti passo passo nel loro dramma, grazie ai media. E sempre grazie ai media, questi uomini così simili a noi negli affetti cui rinunciano, nella paura che provano e nel dolore che patiranno, restano prudentemente lontani, così da poter essere dimenticati in fretta come le comparse di una fiction. Li chiamiamo eroi per non prendere atto che potremmo essere al loro posto e per non interrogarci su quale sarebbe la nostra scelta.Proviamo a chiederci, invece, quante volte questi cinquanta abbiano discusso tra loro della sicurezza di quegli impianti in cui lavoravano e quante volte hanno ripreso a lavorare con una scrollata di spalle o un sospiro, perché quella era la loro scelta, perché lo stipendio era buono, perché a casa li attendeva una moglie, i vecchi genitori orgogliosi, la festa di compleanno di un figlio...Perché questa è la vita di un uomo onesto, banale e anonima finché non sei "dentro la notizia". Il terremoto che ha sconvolto le vite dei giapponesi ha dato un senso diverso alla loro. L’hanno colto senza darsi la possibilità di scegliere, esercitando fino in fondo il proprio mandato di uomini che non voltano le spalle al dovere. Non li conosciamo ma è bello pensare che gente così muoia come ha vissuto. E sentirci un po’ in colpa non ci fa male.
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