mercoledì 5 marzo 2014
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I tempi della liturgia ci introducono nel tempo di Quaresima. Tempo forte, messaggio radicale, quello della Quaresima, fin dal suo rito d’ingresso: le ceneri. Sia nella formula tradizionale, dal Libro della Genesi: «Memento, homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris: Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai». Sia in quella nuova, dal Vangelo: «Paenitemini et credite Evangelio: convertitevi e credete al Vangelo».Nell’impatto con i modelli e i trend di vita odierni, è ancora attuale la Quaresima? Tra le distrazioni e i rumori che congestionano la società dei consumi e degli affari, della pop music e delle chat a perdere, delle accelerazioni del tempo e dell’inseguimento dei record, della moltiplicazione dei talk show e del groviglio dei social network, delle trasmissioni e dei commerci no stop, dei mercati dell’evasione e dell’ebbrezza, dei desideri e delle tendenze rivendicati come diritti, viene da chiedersi: ha ancora qualcosa da dirci la Quaresima?La Quaresima: con il suo richiamo all’essenzialità, al primato dell’interiorità e dello spirito, alla cura dell’anima; con la sua paideia della conversione, del silenzio, dell’ascolto, della confessione del peccato e del pentimento; con il suo appello alla temperanza, alla sobrietà, al digiuno, alla riconciliazione e alla condivisione. Possono davvero gli uomini e le donne del nostro tempo sentirsi esenti da questo messaggio, da questa pedagogia? Ritenerli superati: cose d’altri tempi, o appannaggio di soli credenti? L’ammonimento del Vangelo – «che giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde o rovina se stesso» (Lc 9,25), «la propria anima» (Mc 8,36)?" – non vale forse anche per l’oggi, non ha significato per tutti?Certamente la Quaresima ha il suo input nel Vangelo e nella fede che lo accoglie. Ma il suo contenuto è umano, profondamente umano. Così come umano è il volto del Dio biblico che prende forma in Gesù Cristo. Umano e umanizzante – «per noi uomini e per la nostra salvezza» – è il suo Vangelo, che da duemila anni feconda la nostra società e la nostra cultura. È in nome di questo umano migliore che dobbiamo ritornare allo spirito della Quaresima. Non sono poche le contraddizioni e i vicoli ciechi cui portano le ideologie della vanità e dell’effimero, le dipendenze e le coazioni di libertà autoreferenziali e irrelate, le abulie e le inezie di coscienze scariche e demotivate. Così come non sono poche le perdite di senso e di responsabilità morale, cui porta il monismo del piacere e del profitto, con gravi ricadute nel campo della vita, della sessualità, della famiglia, della società, della politica. Sono perdite di umanità che degradano e avviliscono.La sapienza del Vangelo e della Chiesa – con il forte senso della realtà e della storia e, con esse, della fallibilità umana che le è proprio – offre all’uomo un tempo di conversione e di ritorno. Per quanto grande sia il potere del male che lo avvince, il potere del bene è più forte. Perché è il potere di Dio, che ha il volto del Bene. Questa forza del bene, la Chiesa la attinge alla vittoria pasquale di Cristo su tutte le forze del male, che si sono abbattute sulla croce. Da questa vittoria la Quaresima prende inizio e ad essa conduce attraverso un cammino di quaranta giorni. Cammino di libertà e di grazia. Di libertà, perché accolto con volontà di «prendersi in mano», «mettersi in gioco», vivere e «non lasciarsi vivere»: volontà di conversione e di rinnovamento. Cammino di grazia, perché non c’è libertà senza essere liberati, perdono senza essere perdonati, salvezza senza essere salvati. La Quaresima è la luce della grazia nel buio del peccato e della colpa. Luce di speranza, che accende la «passione del possibile» (Kierkegaard), narrata da san Paolo come il «molto di più» della grazia sulle forze del male: «Dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia» (cfr. Rm 5,15-20).Per questo al centro della Quaresima c’è il vangelo della misericordia: il cuore di Dio che si china sulla miseria dell’uomo. Ce lo richiama Francesco nel messaggio di quest’anno. Assumendo a titolo il tema paolino «Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà» (cfr 2Cor 8,9), il Papa ci fa vedere come Dio in Cristo si è chinato e si china sulle nostre miserie. È entrato nella nostra povertà, ha solidarizzato con essa. La Quaresima è la memoria attiva di questo pro nobis di Dio e della sua forza sanante, liberante. Non siamo però solo beneficiari della grazia, destinatari di misericordia. Siamo ad un tempo soggetti. Dal dono di Dio siamo chiamati a farci dono: operatori di misericordia. La Quaresima muove il cuore a chinarsi sulle miserie altrui. Su "tutte" le miserie – sottolinea il Papa. Sulle "miserie fisiche", le indigenze e le infermità, da alleviare e sanare. Sulle «miserie morali», il peccato e la colpa, da perdonare e rimettere. Sulle «miserie spirituali», l’allontanamento da Dio, da prendere su di sé, in un cammino di avvicinamento cordiale a tutti i lontani. «Chiamati a essere persone-anfore» – esorta Francesco nella Evangelli gaudium – per «dare da bere»: soddisfare "la sete di Dio, di senso ultimo della vita", nel "deserto spirituale" del nostro tempo.Ogni autentica crescita etico-spirituale passa sempre per la via della misericordia. È questa la via maestra del digiuno quaresimale. Ce lo richiama la liturgia fin dai primi giorni, con il profeta che si fa voce di Dio: «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: "Eccomi!"» (Is 58, 6-9).La Quaresima è tempo di Dio per noi. Kairos della grazia:"tempo favorevole, tempo opportuno", traduce la liturgia. E insieme tempo nostro per gli altri, che porta a «domandarci – è il Papa a chiedercelo – di quali cose possiamo privarci, al fine di aiutare e arricchire altri con la nostra povertà».
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