Dava fastidio perché era un prete autentico
sabato 15 settembre 2018

«I tempi saranno molto lunghi, ma noi speriamo che qualcosa via via vada cambiando. I ragazzi cominciano a capire che la vita non è fatta semplicemente di violenza, di degrado, ma ci sono valori come pace, fraternità, collaborazione». Non aveva né i toni né la veste del rivoluzionario, ancor meno del professionista dell’antimafia, don Pino Puglisi. Pure per questo, quando nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno i sicari, mandati a zittirlo per sempre, lo uccisero, non ne seguì un gran clamore.

Questo, del resto, era l’effetto sperato da Filippo Graviano e dal fratello Giuseppe, quest’ultimo capo del mandamento noto col nomignolo di "Madre Natura", come a dire che il diritto di vita e di morte passavano dalla sua volontà. La stessa che aveva decretato la fine di quel parroco semisconosciuto e perciò ignorato anche dopo la sua uccisione. E per un po’, in effetti, fu davvero così. E così fu fino a quando i semi piantati da Puglisi, bagnati dal sangue del suo sacrificio estremo, non presero a germogliare nel terreno arido di Palermo, che già il sacerdote aveva preso a dissodare in vita.

Non era un eroe, 3P e neppure aveva voluto esserlo. Nella sua esistenza, come nella sua opera pastorale, non v’è traccia di qualcosa che non fosse ispirata al senso di responsabilità e al dovere. Apparentemente, specie se visto con gli occhi con i quali si guarda oggi al mondo, poca roba. Eppure, era proprio in quella sua straordinaria normalità il movente della condanna a morte decretata dai Graviano. Dava fastidio, quel parroco, semplicemente perché si ostinava ad essere prete autentico in un quartiere che il suo unico dio doveva avere in "Madre Natura". E per questo fu ucciso.

Troppo difficili da scardinare la sua coerenza evangelica, la sua dedizione agli insegnamenti di Cristo, la sua caparbietà nel voler educare bambini e giovani per garantire loro un’istruzione e attraverso questa via una possibilità: se continuare, cioè, a essere carne da macello per i mammasantissima, oppure liberarsi dal giogo della schiavitù imposta e diventare finalmente artefici del proprio futuro. «Non è da Cosa Nostra che potete aspettarvi un futuro migliore per questo quartiere», andava ripetendo nelle sue omelie. «Il mafioso – aggiungeva – non potrà mai darvi una scuola media o un asilo nido».

«U parrinu predicava tutt’a jurnata», si dicevano invece in carcere, ignari di essere intercettati, Leoluca Bagarella e il mafioso (poi pentito) Tullio Cannella, per spiegare la decisione di eliminare il parroco di Brancaccio. E predicando di fede e giustizia, di pace e verità, e facendo seguire alle parole i fatti attraverso la testimonianza, teneva lontani i fanciulli dalla malapianta. Era questo il nemico temuto dei clan, e per questo lo assassinarono.

Il Papa, recandosi a Palermo, nella terra che fu del beato, scriverà domani, sabato 15 settembre 2018, una nuova pagina del "Magistero dei luoghi", aperto i pellegrinaggi sulle tombe di don Primo Mazzolari e di don Lorenzo Milani, continuato con la preghiera sulla tomba di don Zeno Saltini e proseguito con la visita pastorale nella terra di don Tonino Bello. Un altro tassello nel mosaico che definisce la figura del sacerdote di cui v’è bisogno nella Chiesa che s’apre al mondo ed esce finalmente dalle sagrestie per farsi prossima agli ultimi. Un passo ancor più simbolico perché compiuto in un’isola crocevia di popoli e culture, da sempre porta del Mediterraneo e culla di civiltà ed ospitalità. Ma anche – e soprattutto – il suggello a una scelta ormai irreversibile: dove c’è mafia non può esserci Vangelo. Da sempre, mai più.

Vincenzo Bertolone è arcivescovo di Catanzaro-Squillace, postulatore della causa di canonizzazione di don Pino Puglisi

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