sabato 2 aprile 2011
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L’intensificazione improvvisa, e relativamente massiccia, dei flussi migratori dall’Africa che investono e investiranno l’Italia richiede risposte politiche e organizzative complesse, che portano anche a curiose inversioni di posizione tra partiti e movimenti. Il ministro dell’Interno Bobo Maroni, leghista quanto si vuole, per esercitare la sua funzione istituzionale non esita a imporre "centralisticamente" alle Regioni l’accoglienza dei rifugiati e anche degli immigrati clandestini. Persino il tradizionale rifiuto di distribuire permessi di soggiorno temporanei sembra venga superato, anche se con l’intenzione di favorire in questo modo il ricongiungimento familiare degli immigrati irregolari di nazionalità tunisina, forzando il "blocco" francese.Dall’altra parte dello schieramento politico, quella sinistra che ha sempre combattuto la netta e spesso aggressiva distinzione tra richiedenti asilo e immigrati "clandestini", ora parte proprio da questa separazione per rifiutare di allestire tendopoli per gli immigrati irregolari, come hanno ribadito il presidente dell’Emilia Romagna (e della conferenza delle Regioni) Vasco Errani e il sindaco di Torino Sergio Chiamparino (che a sua volta presiede l’Associazione nazionale dei Comuni).Sottolineare soltanto gli indubbi elementi di "incoerenza" di questi comportamenti però sarebbe oggettivamente ingeneroso. Maroni sente come prioritario il suo dovere pubblico e fin dal primo giorno ha parlato di una straordinaria emergenza umanitaria. E la sinistra amministrativa sente il peso della sensazione di timore che si agita negli strati popolari e cerca di offrire rassicurazioni.Non è facile trovare un equilibrio tra le diverse esigenze che debbono essere in qualche modo soddisfatte in una fase così convulsa. In primo luogo c’è quella di accogliere chi chiede rifugio per sfuggire a situazioni belliche e comunque di amara e rischiosa instabilità, ma anche di non chiudere la porta in faccia ai giovani maghrebini che cercano un futuro. Anche questa richiesta però pone qualche interrogativo: ora che si aprono – a quanto pare e ci auguriamo – prospettive di rinnovamento in alcuni Paesi del Nord Africa, sarebbe importante che le energie della gioventù potessero collaborare alla crescita di una società più moderna e di sistemi di potere più giusti. Naturalmente l’impegno ad aiutare gli africani a migliorale la loro condizione nel loro paese è valida solo se nasce da un’esigenza e da una consapevolezza di giustizia e non esclusivamente da certo ossessivo timore suscitato dal loro approdo in Italia e in Europa. Egualmente rilevante è l’esigenza di garantire la sicurezza di cittadini dei centri dove si concentrano i fenomeni migratori o dove saranno dislocati gli insediamenti dei nuovi arrivati, provvisori o no che siano. Trascurare questo problema può far degenerare una ovvia preoccupazione in atteggiamenti di paura e di repulsione. È dall’intreccio di questi problemi reali, e in parte contrastanti, che nasce anche quella "incoerenza" che si può anche interpretare come capacità di adattarsi alle novità senza insistere nella ripetizione sterile di imparaticci ideologici. Se alla fine prevarrà il senso di umanità, cioè la considerazione dei problemi che vivono le popolazioni e le persone, senza cedimenti all’intolleranza e alle siciumere, anche certe "incoerenze" potranno insomma diventare segnali di civiltà e di comprensione reciproca. Essere all’altezza di una grande tradizione di civiltà e di solidarietà è irrinunciabile, e ci qualificherà (o squalificherà) in faccia a noi stessi al mondo. Ma anche la comprensione reciproca tra "distinti e distanti" merita di essere tenacemente coltivata per cercare e trovare atteggiamenti condivisi e utili, tanto rari in un clima politico che resta prevalentemente rissoso.
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