sabato 14 gennaio 2012
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Il rapporto sullo stato sanitario del nostro Paese presentato qualche settimane fa dal ministero della Salute ha messo in evidenza come nell’ultimo decennio sia vertiginosamente aumentato, praticamente più che raddoppiato, il consumo degli antidepressivi da parte degli italiani. La depressione come le sindromi ansiose, che negli ultimi decenni hanno fatto aumentare il consumo di tranquillanti, sia minori come le benzodiazepine sia maggiori come i neurolettici, sembrano impazzare, mentre gli italiani sembrerebbero impazziti. I dati sono molto utili e ne va data una lettura oculata. Soprattutto in relazione a una spietata naturalizzazione dei problemi mentali e affettivi. Dobbiamo chiederci quante delle problematiche presentate dagli italiani siano un dis-adattamento psicologico o meglio psico-fisico piuttosto che spirituale. E i farmaci possono supplire alla bisogna? Mi sono sempre domandato, inoltre, come mai in Italia tutti conoscono Freud, quasi tutti sanno chi sono Jung e Adler, ma ben pochi hanno sentito parlare di Victor Frankl. Le risposte che mi sono dato e continuo a darmi sono numerose, ma ritengo che l’aspetto più inquietante sia che proprio tra gli addetti ai lavori, ovvero tra medici, psicologi, psicoterapeuti, non si sa di che cosa si stia parlando quando, in tema di psicoterapia, si considera il discorso di una possibile altra via, quella della logoterapia, al di là di psicanalisi, psicologia analitica o psicologia del profondo, psicologia individuale e tutti gli epigonismi del caso. La logoterapia è un approccio psicoterapeutico che si basa sull’analisi esistenziale e che cerca di riscoprire il senso (logos) di ogni esistenza umana. Il substrato teorico e pratico della terza scuola viennese, come viene anche detta la logoterapia di Frankl, è di natura antropologica e si basa sulla filosofia esistenzialistica, sul dasein, ovvero su quell’esser-ci su cui tanto hanno insistito in campo filosofico Heidegger e Jaspers. La logoterapia si basa sulla fede (ovvero una credenza forte e determinata in qualcosa) e sulla conseguente azione intrapresa con risolutezza ai fini di dare un senso all’esistenza stessa in un contesto in cui la volontà determina una libertà responsabile e una responsabilità libera. L’unicità e irripetibilità dell’uomo rendono il suo esser-ci una preziosa risorsa colma di dignità, anche davanti alle più perverse ignominie che attentano alla all’unicità e all’irripetibilità delle persone. La vita di un uomo non è riducibile alla vita fisica e biologica, ovvero a quello che viene determinato dal suo Dna. Il suo essere è un esser-ci che non può fermarsi alle contingenze spesso negative e alle prospettive naturalistiche. Infatti, ragionando in tal modo, si prospetterebbe come unica attesa possibile quella stessa possibilità che vanifica qualunque altra possibilità, ovvero la morte, che ad Heidegger aveva concludere che l’uomo è un essere-per-la-morte, con derive nichiliste. Frankl è convinto che la sofferenza, il male, la morte non siano annichilenti, ma all’opposto possano dare l’input per mettere in moto l’uomo alla ricerca di senso. Egli stesso aveva sperimentato nei campi di concentramento nazisti come la sopravvivenza fosse direttamente proporzionale alla capacità di dare un senso attraverso la fede anche a una delle esperienze più atroci a cui potesse andare incontro un essere umano, avendo così avuto lo spunto delle sue teorie. Oggi, per sconfiggere la depressione, che forse in alcune circostanze è piuttosto angoscia esistenziale, abbiamo sì bisogno di un trattamento farmacologico, ma in casi più che controllati. In genere,sia da parte dei terapeuti sia da parte dei "pazienti",  il problema è da considerare anche con un atteggiamento basato su dinamiche antropologiche ed esistenziali. Il fine è quello di ri-trovare e dare un senso all’esistenza per quanto delimitata nella natura, proprio per cercare di trascendere, per quanto possibile, questa stessa natura.
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