martedì 17 ottobre 2023
Nella manovra “austera” voluta da Meloni, benefici fiscali e maglie strette sulle pensioni
Promessa mantenuta sul sostegno ai redditi bassi ma pesa il super deficit

ANSA

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Non c’è la tempesta che scassa i conti, anche perché non ci sono quelle “maglie larghe” che mesi fa ci si poteva attendere da un governo a trazione sovranista/populista. Non ci sono in primo luogo perché la scelta di fare la manovra più magra degli ultimi anni ha ristretto il campo delle opzioni possibili e denota una prudenza che, di questi tempi, è già un pregio che in fondo avrebbe apprezzato anche il Mario Draghi dell’esecutivo precedente (che pur chiuse tutti e due gli occhi sulla proroga, sciagurata, del Superbonus 110%). E così l’esecutivo Meloni compie un’altra delle sue virate spettacolari: come sull’immigrazione la premier è passata dal «blocco navale» alla ricerca costante del dialogo con la Ue, così - dopo avere per anni massacrato i governi tecnici per le loro politiche austere – ora la maggioranza di centrodestra rivendica anch’essa una «serietà» che la leader di Fdi issa persino come vessillo.

Come quella mostrata sulle pensioni, dove si archivia la parola d’ordine di «abolire la legge Fornero » tirando fuori nella sostanza una inedita “Quota 104”, un cambio di paradigma soprattutto per la Lega, a ennesima riprova che la realtà è diversa dalle chiacchiere. Insomma, lungi dall’essere un disastro, la prima vera legge di Bilancio di questa coalizione (quella di un anno fa fu tutta assorbita dai fondi contro il “caro-energia”) presenta aspetti degni di nota che non possono essere taciuti. In primo luogo, la conferma e, anzi, il rafforzamento, anche se solo per un anno, delle misure di riduzione fiscale, con l’accortezza però di non farne beneficiare pienamente quelle persone con redditi sopra i 50mila euro che meno ne hanno bisogno (e senza nemmeno far perdere loro qualcosa rispetto a oggi), la caratterizzano come una manovra a favore dei redditi bassi, che per questo mette anche in un certo imbarazzo la sinistra.

Le misure per la famiglia (una nuova tappa dopo il varo dell’assegno unico) denotano un cambio di mentalità positivo, mentre sulla sanità – depositata la polvere delle polemiche sui fondi, ridotti o no a seconda che li si valuti in rapporto al Pil o in valore assoluto – bisogna pur sempre ricordare che non si partiva da una situazione idilliaca. Piuttosto, pesa quella nota decisamente stonata del contributo da 2mila euro chiesto ad alcune categorie di extracomunitari residenti. La stessa volontà d’incidere con tagli lineari sulle spese dei ministeri è apprezzabile, anche se qui andrà misurata la distanza fra i propositi e i fatti che verranno.

Ma è il progetto di “stringere” le norme sulle uscite pensionistiche quello più significativo sul piano politico: la marcia indietro su una delle battaglie identitarie del centrodestra evidenzia, a suo modo, la serietà che vive oggi la situazione di finanza pubblica, sottoposta per di più alle incognite, oltre che della doppia guerra, del “caro-tassi” e del giudizio degli operatori che potrebbero renderla ancora più complicata nei mesi a venire. Direzioni corrette, quindi, che cozzano però con quello che resta il grosso limite di fondo di questa legge: il fatto che essa poggi pur sempre su oltre 15 miliardi in deficit.

Eterno vizio, mai domato, che continua a fare dell’Italia un Paese dai piedi d’argilla, quelli del mega- debito pubblico che la tengono al palo (ancora ieri è stato ricordato dal governo che il solo aggravio degli interessi peserà nel 2024 per oltre 13 miliardi, di fatto un’altra manovra intera). In presenza di questi numeri, la crescita reale dovrebbe essere decisamente alta per contenere il debito. Alla fine ci troveremo invece, probabilmente, con maggior debito, maggior disavanzo e la stessa crescita stentata; condizioni che a loro volta potrebbero tradursi in un ulteriore aumento dello spread sui tassi, in un circolo vizioso.

E questo ci porta all’altro limite che questa manovra non cancella: la coperta più corta (proprio per via del debito) impone la necessità di agire, più che con interventi che hanno sempre un costo monetario, sul piano delle riforme normative. Forse meno appariscenti, ma più capaci di liberare energie valide per crescere di più e meglio facendo volare gli investimenti. Una via, questa, sempre preferibile per far invertire la rotta della produttività rispetto a stimoli fiscali sparsi e dalla durata temporale troppo ristretta, che finiscono più che altro col gravare di ipoteche i conti del futuro. E sulle riforme la strada appare invece ancora lunga per questo governo.

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