venerdì 11 novembre 2011
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Avviso a tutti quelli che si erano preoccupati per le proposte di legge sul "processo lungo" e sulla "prescrizione breve": in Italia il processo lungo, lunghissimo, esiste già e la prescrizione, se non è breve, è quasi certa. Non si tratta tuttavia di un avviso urgente, se le cose non cambieranno avete anni per leggerlo prima che si risolva una causa o un procedimento penale che vi riguarda.A Bari, il processo sui presunti abusi nella gestione della Missione Arcobaleno (l’operazione umanitaria voluta dal governo D’Alema per sostenere i cittadini kosovari fuggiti in Albania per scampare alla guerra) è cominciato nel febbraio scorso e due giorni fa è stata fissata la prossima udienza, al 17 maggio 2012. Peccato che il 28 aprile si sarà prescritto anche l’ultimo dei presunti reati contestati agli imputati. Da quei fatti sono trascorsi ormai 12 anni, tra arresti (quattro persone finirono in carcere per tre mesi), avvicendamenti di inquirenti (il pm era Michele Emiliano fino al 2004, quando venne eletto sindaco di Bari per il Pd), di giudici (quattro i collegi dal 5 febbraio 2009, data prevista per la prima udienza, poi rinviata per ben sette volte) e le consuete, immancabili schermaglie sulla competenza territoriale, che sembra ormai un’opinione. Se ne ricordino l’Associazione magistrati e le Camere penali, prima di denunciare rispettivamente il prossimo «tentativo di delegittimazione» e il prossimo «inaudito attacco al diritto di difesa»: i tempi lunghi, spesso, dipendono anche da loro, non solo dalla carenza degli organici e dalla cattiva organizzazione, pure innegabili.Di certo, gli eventuali colpevoli avranno di che brindare: l’hanno fatta franca. Ma gli eventuali innocenti non avranno giustizia: rimarranno sempre "quelli imputati per... ma poi il reato andò prescritto". Sembra quasi di vedere i giustizialisti di turno darsi di gomito annotando quella "quasi condanna" a futura memoria. I puntini di sospensione sono voluti, al posto del caso di Bari si può mettere uno qualsiasi degli oltre 400 (quattrocento) procedimenti penali che ogni giorno cadono in prescrizione in Italia. Se poi si volge lo sguardo ai tribunali civili, il tempo a disposizione per leggere questo avviso rischia di aumentare e non di poco. La signora Nicolina N. di Avellino, per esempio, ha oggi 97 anni e da 20 è coinvolta in una causa per questioni di eredità: alla prossima udienza, fissata nel 2014 dalla Corte di Appello di Napoli, si presenterà centenaria. Un caso limite? Certamente, ma la durata media di una causa civile resta di 5 anni, escludendo l’eventuale ricorso in Cassazione. Troppo.Si potrebbe obiettare che non è tempo di parlare dell’urgenza di una vera riforma della giustizia, vista la drammatica crisi economica che morde il Paese. Ma sarebbe un’obiezione sbagliata, perché un’amministrazione farraginosa e inconcludente della giustizia rappresenta un enorme spreco di soldi pubblici in termini di consumo di risorse, di rimborsi per durata non ragionevole dei procedimenti, di risarcimenti non incassati (nel citato processo di Bari, la Presidenza del Consiglio e il Ministero dell’Interno sono parti civili, ma a causa della prescrizione già sanno che non vedranno un centesimo). Al contrario, un sistema giudiziario ben funzionante genera fiducia interna e credibilità internazionale, quindi sviluppo. Che cosa dovrebbe spingere un imprenditore straniero a investire in un Paese, il nostro, dove una controversia commerciale ha un costo pari a quasi un terzo del suo valore (14% in Germania, 17% in Francia) e che la Banca mondiale classifica al 157° in quanto a efficacia della tutela giudiziale? Perché le imprese italiane devono rassegnarsi a rincorrere un credito per più di tre anni? Secondo il vicepresidente del Csm Michele Vietti, i ritardi della giustizia civile «ci costano l’un per cento del Pil, all’incirca 22 miliardi».Se davvero nascerà un governo di responsabilità, chiunque venga chiamato a guidarlo ci pensi. Nel frattempo, auguri sinceri alla signora Nicolina.
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