venerdì 21 luglio 2023
Salme sequestrate e neonati in ostaggio fino al pagamento del conto: così alcuni ospedali fanno affari sfruttando il bisogno di cure E le istituzioni internazionali li finanziano
La ricerca della Ong individua 358 investimenti verso aziende sanitarie private in Asia e Africa fra 2010 e 2022, per un totale di 3,2 miliardi di dollari transitati anche in paradisi fiscali

La ricerca della Ong individua 358 investimenti verso aziende sanitarie private in Asia e Africa fra 2010 e 2022, per un totale di 3,2 miliardi di dollari transitati anche in paradisi fiscali - ANSA

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«È terribile vederla così, il suo corpo è trasformato. Non sembra più nemmeno un corpo, ma un ammasso di pietra». Franciska Wanjiru parla della salma di sua madre, trattenuta da due anni presso il Nairobi Women’s Hospital per il mancato pagamento delle spese ospedaliere. «Imploriamo l’ospedale di restituirci il corpo, almeno come regalo di Natale: non saremo mai in grado di saldare quel conto, non ha senso che si tengano il cadavere». Quella di Franciska è solo una delle storie che sgorgano con rara potenza di denuncia dalle pagine dei due rapporti Sick Development e First, do no Harm, frutto di una complessa e coraggiosa ricerca di Oxfam sulla finanziarizzazione della salute nel mondo che comprende un volo radente su scala globale e uno specifico approfondimento sull’India. Equivale a 43.000 dollari il debito di Franciska. Aumenta ogni giorno, man mano che la detenzione in morte di sua madre continua. Anche l’accesso alla camera mortuaria costa quasi 5 dollari, infatti non ci va più.

La notizia della detenzione dei pazienti, e delle salme, come forma di intimidazione e di estrazione finanziaria si è guadagnata visibilità sulla stampa kenyana sin dal 2016, ma le cattive abitudini son dure da estirpare – nel 2017 una donna si è vista trattenere il figlio appena partorito per oltre tre mesi, perché incapace di pagare il saldo di 3000 dollari – anche dopo il pronunciamento di un tribunale contro l’ospedale per violazione della Costituzione. Più di recente, nel marzo 2021, la Corte Suprema ha imposto al Nairobi Women’s Hospital un risarcimento di oltre 27.000 dollari a favore di Emmah Muthoni Njeri, illegalmente detenuta per oltre cinque mesi. E poi ci sono le ritorsioni contro il personale sanitario per aver affrettato le dimissioni, le pressioni ai medici per richiedere nuove diagnosi, il consiglio di interventi chirurgici inutili. Tutto documentato nel rapporto, inclusa la paura dei familiari che temono ritorsioni sui loro cari.

Sia chiaro. Il Nairobi Women’s Hospital non è una mela marcia. E il problema non riguarda solo il Kenya. In molti Paesi del sud del mondo, ospedali privati sfruttano i bisogni di comunità spesso prive di strutture sanitarie pubbliche e abusano sistematicamente dei pazienti. Imprigionandoli se non pagano il conto, negando loro il pronto soccorso se son poveri, strattonandoli finanziariamente con tariffe improponibili anche quando spetterebbero loro cure gratuite, sospingendoli in un abisso di dolore e impoverimento di cui vengono investiti familiari e amici, e da cui è praticamente impossibile riscattarsi.


Privatizzazione e finanziarizzazione vanno a braccetto nel sud del mondo con i nostri soldi, quelli di Banca Mondiale e Fondo monetario. Agganciati agli obiettivi di sviluppo sostenibile, tali investimenti in realtà peggiorano la situazione

Non guardano in faccia a nessuno, neppure le partorienti. I Lagoon Hospitals in Nigeria, il quarto Paese al mondo per mortalità materna, annunciano tariffe convenienti per un parto a patto di avere un’assicurazione privata (il 97% della popolazione né è priva), una copertura aziendale o il contante. La convenienza corrisponde a nove mesi di reddito per il 50% più povero della popolazione, a 9 anni per il 10% di fascia più bassa. In India due ospedali convenzionati, rispettivamente negli stati di Chhattisgarh e Odisha, hanno rifiutato cure gratuite a titolari di assicurazioni governative e altre esenzioni, costringendo le famiglie di questi pazienti a «conseguenze finanziarie catastrofiche». Oxfam racconta dettagli raccapriccianti: medicinali messi in conto al prezzo gonfiato del 50%, cateteri monouso riutilizzati e addebitati più volte, casi da medicina d’urgenza rifiutati per insufficienza finanziaria (sebbene la legge in India imponga l’obbligo di cure d’emergenza per gli incapienti).

Neppure la pandemia Covid-19 è servita per immunizzarli, questi privati. Quale migliore occasione del resto? Nel culmine dell’emergenza hanno volteggiato sulla paura e sui sintomi dei pazienti senza farsi scrupoli. In Uganda, il Nakasero Hospital di Kampala faceva pagare un letto in terapia intensiva l’equivalente di 1.900 dollari al giorno. Al TMR Hospital, i familiari di un paziente poi deceduto a causa del virus si sono ritrovati l’esorbitante cifra di 116.000 dollari da pagare.

La vera patologia sta a monte: i proprietari e gestori di questi ospedali non riescono a pensare alla salute se non in termini di profitto. I protagonisti di questo racconto sono personaggi del calibro di Arif Naqvi, il fondatore del Gruppo Abraaj che ha letteralmente stravolto il discorso sui finanziamenti allo sviluppo convincendo le istituzioni finanziarie e le Nazioni Unite a sospingere miliardi di fondi pubblici verso i finanziamenti privati per la realizzazione della Agenda 2030. La salute, il suo pallino. Il mantra di Navqi, che finanziando fondi di azionariato privato come Abraaj il capitalismo poteva agire da leva per arricchire gli investitori e intanto “porre fine alle sofferenze dei poveri”, si è incagliato nel 2018 quando il gruppo è stato coinvolto in una delle più grandi frodi della storia, con la volatilizzazione di centinaia di milioni di dollari dal Global Health Market Fund, finanziato anche da Bill Gates.

Questo scandalo ci riguarda direttamente. Questi ospedali privati sono foraggiati dalle istituzioni finanziarie europee per la cooperazione allo sviluppo. Oxfam ha seguito le tracce di circa 400 investimenti che rimandano a tre distinte entità europee – la British International Investment (BII), la Proparco francese e la Deutsche Investitions und Entwicklungsgesellschaft (DEG) – alla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e alla International Finance Corporation (IFC), il braccio privato della Banca Mondiale. Spesso intrecciate fra loro nei finanziamenti. La ricerca – estremamente faticosa e traumatizzante, racconta Anna Marriott di Oxfam – riesce a individuare 358 investimenti ad aziende sanitarie private nei paesi a medio e basso reddito fra il 2010 e il 2022, per un totale di 3,2 miliardi di dollari. Il 56% degli investimenti europei sono destinati a ospedali privati e ad una miriade di providers privati soprattutto in Africa e in Asia, tramite intermediari finanziari del comparto sanitario. La Banca Mondiale risulta coinvestitore in almeno 42 delle operazioni di intermediazione finanziaria e in almeno 112 investimenti diretti ad aziende private.

Questa mobilitazione finanziaria ai privati per la salute dei paesi poveri si aggancia da qualche anno agli obiettivi per lo sviluppo sostenibile, in particolare alla copertura sanitaria universale, ma il tutto avviene nel più allarmante deficit di trasparenza e accountability. Le molteplici operazioni, in crescita dopo la pandemia per quanto riguarda la Banca Mondiale, si dipanano in una invisibile trama di intermediari finanziari, perlopiù fondi di azionariato privato, impenetrabili anche perché hanno sede nei paradisi fiscali – l’80% dei 140 intermediari intercettati da Oxfam sono domiciliati alle Mauritius e alle Isole Cayman. Privatizzazione e finanziarizzazione della salute vanno a braccetto allegramente nel sud del mondo con i nostri soldi, ma dettano legge anche da noi, malgrado la pandemia e le sue inequivocabili lezioni. Il rapporto di Oxfam dà la sveglia: la salute pubblica è la via maestra. L’alternativa è una disumanizzazione che non ha nulla a che vedere con la sostenibilità, se non per i privati che ne approfittano. Pensiamoci!

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