giovedì 25 giugno 2009
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Caro Direttore, mi vergogno a pensarlo, figurarsi a scriverlo... Si tratta dei "Prestiti della speranza": una bella idea della Cei. Ho dato anch’io il mio contributo di pensionata... in discrete condizioni. Però non mi sento di approvare la scelta delle famiglie da aiutare. Faccio parte di un’associazione parrocchiale di volontariato. Assistiamo numerose famiglie, che aumentano di mese in mese, con offerte mensili personali, con iniziative varie, con richieste ai nostri concittadini: le famiglie assistite sono molto spesso irregolari, conviventi, straniere e difficili da controllare. Ma partiamo dal principio che non dobbiamo giudicare: sono fratelli che soffrono e come tali meritano la nostra attenzione. Talvolta hanno solo un figlio, talaltra due o di più, anche tre o quattro. Leggendo il regolamento del prestito Cei, trovo l’indicazione che le coppie debbono essere regolarmente sposate e che i figli debbono essere tre o più che il prestito dovrà essere restituito entro 5 anni e che vi verrà applicato l’interesse del 4,5 %. E allora la famiglia pugliese che assistiamo, che ha un figlio solo di un anno? Col padre che ha perso il lavoro e non ha cassa integrazione perché lavorava con una Cooperativa, e quindi senza alcuna entrata, con affitto, bollette, pannolini, cibo da pagare? E l’altra, marito italiano rimasto senza lavoro, separato, con alimenti da versare per la figlia, con una convivente straniera che ha con sé due figli piccoli, e inoltre con un mutuo per la casa? E l’altra ancora col padre gravemente e inesorabilmente malato, con due figli in età scolare e la moglie che non può lavorare perché deve assisterlo? Anche a loro dobbiamo provvedere con denaro, cibo ed altro. E avrei altri esempi, abbondanti. Ma loro non rientrano negli aiuti Cei. Che dire poi dell’interesse del 4,50 % e della cifra da restituire entro 5 anni? Noi quei soldi li abbiamo dati domenica scorsa senza nulla chiedere, né interesse, né restituzione... Ecco, a me vengono veramente tanti dubbi e mi dispiace. Cosa ne dice direttore? Le chiedo il favore di non mettere il mio nome per intero. Mi spiace farmi sentire a ... criticare una disposizione che viene dalla Cei. Sono profondamente credente, ma a volte... ci resto male. La ringrazio d’avermi ascoltato. Il direttore risponde

Lettera firmata, Cremona

Proprio nel giornale di ieri c’era un’intera pagina di Primo Piano dedicata al 'Prestito della speranza', che già rispondeva a molti dei suoi interogativi. Mi pare utile, tuttavia, riprendere l’argomento per non lasciare ombre su un’iniziativa che fa onore alla comunità ecclesiale italiana. Venendo al merito delle sue osservazioni, ho l’impressione, cara signora, che le perplessità da lei espresse siano il frutto della trasposizione su scala nazionale dello stile – ammirevole senza alcun dubbio – applicato nella sua parrocchia. Questa è però un’estensione operativamente impropria. La Cei non ha voluto stabilire uno standard, dettare una regola cui diocesi e parrocchie si debbono omologare; l’iniziativa del prestito della speranza non vuole sostituire alcuna delle attività caritative già in corso, che vedono tantissime realtà ecclesiali impegnate come mai prima, ma affiancarsi ad esse: è un intervento extra, un potenziamento degli interventi caritativi già in atto. Mentre però le iniziative attivate a livello parrocchiale si avvalgono di una conoscenza capillare di persone, e sono in grado di calibrare sulle singole situazioni il proprio intervento, un’iniziativa attivata a livello nazionale, col coinvolgimento delle istituzioni bancarie e con un budget prefissato (30 milioni di euro), ha necessità di stabilire dei criteri che rendano trasparente l’attribuzione dei fondi e non lascino spazio a discrezionalità che scoprirebbero il fianco a sospetti e critiche. La Chiesa non è in grado di aiutare tutti; cerca di ovviare alle carenze degli interventi statali: è un’azione di supplenza che si cerca di svolgere al meglio, ma che deve fare i conti con le effettive disponibilità. Perché l’intervento possa essere significativo si è così dovuto selezionare la platea dei potenziali destinatari. Nell’impossibilità di raggiungere e rispondere a tutti, ribadisco, si è scelto di stabilire dei criteri che identificassero una realtà sicuramente bisognosa, così da essere in grado di offrire un aiuto significativo e non solo un’elemosina una tantum. Il criterio adottato è stato quello della famiglia, identificata secondo il dettato della Costituzione italiana, e indirizzandoci a quelle più numerose o con la presenza di un portatore di handicap. Un aiuto che ha la veste del prestito perché l’iniziativa della Cei si appoggia al mondo bancario con un contributo che migliora (non poco) le condizioni che questo è in grado di proporre e permette di offrirle a più persone. Se lei ripassa l’elenco delle situazioni in difficoltà della sua parrocchia, forse rileverà che c’è qualche famiglia con i requisiti richiesti e potrà indirizzarle a questo fondo, «risparmiando» risorse con le quali farsi carico, con un po’ più di respiro, delle altre situazioni. Un saluto carissimo, con sincera ammirazione per quanto già fate.
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