Prendiamo sul serio il ritorno dell'antisemitismo
venerdì 24 gennaio 2020

Gentile direttore,

siamo diventati un popolo antisemita? Al di là delle notizie che quasi quotidianamente ci arrivano di episodi di odio e violenza nei confronti della comunità ebraica, i dati confermano quello che speravamo potesse rimanere solo sul piano del dubbio: una ricerca di Euromedia Research per conto dell’Osservatorio Solomon riporta che l’1,3% degli italiani ritiene che la Shoah sia una leggenda, il 10,5% crede che durante la Shoah non siano morti 6 milioni di ebrei, il 49% è convinto che il settore economico- finanziario sia controllato totalmente dagli ebrei e il 46,9% pensa che gli ebrei si ritengano superiori agli altri. Anche la percezione della loro 'presenza' risulta distorta: il 36,6% degli intervistati pensa che siano tra il 210% della popolazione italiana, mentre nella realtà sono lo 0,06%. Davanti a questi dati appare chiaro che abbiamo sottovalutato la portata della crescente ondata antisemita: è urgente avviare una riflessione profonda sulle azioni da intraprendere per fermarla, partendo dall’educazione e dalla cultura.

Il giorno della Memoria è uno strumento che deve accompagnarci ogni giorno nella lotta all’odio insensato e alla violenza becera. Ricordare cosa è accaduto dietro i cancelli di Auschwitz, ascoltare le testimonianze di chi ha subito un’indicibile ingiustizia, alimentare una lettura critica della storia attraverso una scuola partecipe e attiva, farsi portatori nel quotidiano di un messaggio di inclusione e di ascolto: tutto questo è sempre più indispensabile e non può limitarsi a una singola celebrazione, ma deve accompagnare il quotidiano. Elie Wiesel ricordava un importante insegnamento che aveva tratto dall’olocausto: «Una persona può amare la poesia e comunque uccidere i bambini». Questo per dire che quando diciamo 'cultura' ci riferiamo a una determinata accezione, che è proprio quella che fa rimando alla Memoria e al 'testimone' che i sopravvissuti della Shoah hanno lasciato a ciascuno di noi. La Memoria deve diventare parte di un più ampio dialogo interculturale fatto di conoscenza, scambio e interazione, a maggior ragione in un periodo storico in cui il mondo civile si incontra e confronta facendo della diplomazia culturale e del dialogo tra culture uno dei suoi punti di forza, politica e sociale. La politica, nella sua alta accezione di guida della società, deve essere nel cuore della lotta all’antisemitismo, e mi rende orgoglioso il fatto che l’attuale Governo abbia finalmente adottato la definizione di antisemitismo introdotta dall’International Holocaust Remembrance Alliance e nominato un coordinatore nazionale per la lotta a questo fenomeno nella persona di Milena Santerini: è un segnale importante, che risponde agli stimoli del Parlamento e soprattutto ai bisogni della società. Finalmente l’Italia si allinea a quanto fatto da Germania, Francia, Regno Unito e altri Paesi, colmando un vuoto negli strumenti di contrasto della minaccia antisemita, minaccia che non colpisce soltanto le comunità ebraiche ma anche l’intera collettività che vive in pace con esse.

Sono tante le iniziative di colleghi parlamentari legate ad azioni, grandi e piccole, destinate alla lotta all’antisemitismo. L’impegno attivo nel contrastare l’odio nei confronti della popolazione ebraica attraversa la mia attività parlamentare, senza la necessità – come fa qualcun altro – di cercare nemici esterni creando così ulteriori tensioni. Mi sono ad esempio attivato perché diventi sempre più chiaro che le curve degli stadi non possono essere spazi in cui diffonder messaggi d’odio e ho lavorato a una risoluzione, ora all’esame della commissione Cultura di Montecitorio, per porre in evidenza l’importanza della Memoria e il ruolo fondamentale della cultura nel sostenerla attivamente.

Mi riferisco a una cultura che con lo strumento del dialogo 'prenda parte' e non resti silente davanti ai segnali, anche all’apparenza di poco conto, di odio e antisemitismo. Una cultura capace di testimonianza e parola perché, tornando a citare Wiesel, «la neutralità favorisce sempre l’oppressore, non la vittima; il silenzio incoraggia sempre il torturatore, mai il torturato».

Deputato e capogruppo M5s in commissione Cultura

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