venerdì 17 settembre 2010
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Caro direttore,leggendo tra i vari quotidiani mi accorgo che "Avvenire" è sensibile alla situazione drammatica in cui ci troviamo a vivere noi docenti precari. Mi chiamo Eleonora Mozziconi, insegno lingua spagnola da sette anni e sono sette anni che vivo da precaria inclusa nelle graduatorie d’istituto di terza fascia in quanto impossibilitata di conseguire l’abilitazione all’insegnamento. La situazione attuale è, a mio avviso, gravissima in particolare per noi docenti della Regione Lazio. Mi sono laureata con il massimo dei voti nel marzo 2004 e da settembre 2004 insegno nelle scuole medie di Roma e provincia. In sette anni non mi è stata data dalla Regione Lazio la possibilità di conseguire il titolo dell’abilitazione. O meglio, nel 2005 uscì un corso abilitante dal quale sono stata scartata non avendo i 365 giorni di insegnamento utili in data 30 giugno 2004; missione impossibile oserei dire, visto che l’insegnamento della lingua spagnola è stato introdotto nel settembre 2004! Come potevo mai avere dei giorni di servizio su una materia che ancora non esisteva? Dal 2005 ad oggi il vuoto… niente abilitazione nella Regione Lazio, mentre le altre Regioni italiane si sono tutte attivate al riguardo. Due anni fa noi docenti non abilitati del Lazio siamo stati superati in massa da altri numerosi docenti abilitati provenienti da altre regioni italiane. Oggi come oggi, l’unico modo per conseguire l’abilitazione è frequentare un master a pagamento di 20 giorni in Spagna, tornare in Italia e conseguire la parte finale dell’esame a Roma! Il referente amministrativo è un’università della Regione Campania. Mi chiedo, ma la Regione Lazio è a conoscenza di questa assurdità? Dopo sette anni sono anche stufa di subire delle prevaricazioni e prese in giro. C’è di più: se non mi abilito entro breve la mia laurea come per magia scadrà e non avrà più validità ai fini dell’insegnamento. Ho letto con molta attenzione il mio diploma di laurea e vi assicuro che non è riportata da nessuna parte la data di scadenza! Spero che questa mia venga presa in considerazione dal momento che il futuro sereno dei ragazzi nelle scuole passa anche attraverso il sorriso e la tranquillità di noi docenti, tranquillità che nel momento attuale ha ceduto il passo ad ansia e preoccupazioni.

Eleonora Mozziconi

Si fa presto a dire precari... La sua vicenda, cara professoressa, aiuta a comprendere quanto articolato e complesso sia questo "mondo". E quanto ci sia da fare per bonificare la palude di incertezze che ha invaso, anno dopo anno, la scuola italiana. La sua lettera getta un po’ di luce, però, su un aspetto non sempre considerato a dovere: il peso che anche a proposito dell’istruzione pubblica hanno le determinazioni assunte (o non assunte) in sede regionale. Credo che questo aiuti a capire, al di là di ogni sterile polemica, che la centralità della questione educativa – e, dunque, della riforma e piena valorizzazione di quella fondamentale agenzia formativa che è la scuola – impone un coordinamento di energie e di poteri, di azioni amministrative locali e centrali e di iniziative della società. Quello che, in genere, si definisce uno sforzo corale. Suona retorico, ma non può più esserlo. Non ce lo possiamo permettere (e anche nella sua Regione, il Lazio, bisogna che se ne tenga conto). Anche perché – e lei, gentile lettrice, ce lo ricorda con bella efficacia – dentro la vicenda collettiva dei "precari" ci sono le storie di persone concrete, docenti e alunni, e attese che non sono solo quelle di un "posto fisso". La scuola non è soltanto un luogo di lavoro. È anche questo, ovvio, ma prima di tutto è il grande investimento che una società capace di memoria e di progetto fa sui figli, cioè sul proprio futuro. Abbiamo bisogno di insegnanti vocati a questo, impegnati sul serio e stabilmente (perciò la palude del precariato va ridotta in tempi ragionevoli, ma in modo definitivo, ai minimi termini). E abbiamo bisogno che questi insegnanti siano riconosciuti e valutati come meritano e secondo merito.
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