giovedì 14 novembre 2019
In Italia l’assenza obbligatoria dal lavoro viene estesa a 7 giorni e quella facoltativa è fino a 7 mesi, ma l'utilizzo resta limitato. Il confronto con il resto d'Europa
Più congedi ai padri per far ripartire la natalità
COMMENTA E CONDIVIDI

Il segnale è timido, ma va nella giusta direzione. Arriva col così detto congedo papà, l’obbligo anche per i padri, di assentarsi dal lavoro dipendente in forma retribuita, in occasione della nascita di un figlio. In Italia l’istituto esiste solo dal 2012 e ha avuto una partenza pressoché simbolica: appena due giorni obbligatori e uno facoltativo, quest’ultimo, però, sottratto al congedo della madre. Poi il periodo obbligatorio è stato gradatamente allungato e dopo avere raggiunto i cinque giorni nel 2019, ora la nuova legge di bilancio propone di estenderlo a sette giorni, avvicinandosi, così, ai dieci giorni previsti da una recente direttiva europea.

Il tema dei congedi parentali è oggetto di discussione in tutti i Paesi occidentali perché ha ripercussioni su aspetti di grande rilevanza umana e sociale. Quello della natalità prima di tutto. Nel 2018, per il secondo anno consecutivo, nell’Unione Europea il numero dei morti ha superato quello delle nascite: 5,3 milioni contro 5 milioni. E se tra il primo gennaio 2018 e il primo gennaio 2019 la popolazione totale Ue è salita da 512,4 a 513,5 milioni, è stato solo grazie all’immigrazione. Come conferma l’Eurostat, l’Italia è il paese dell’Unione con il più basso tasso di natalità: 7,3 per mille, contro una media del 9,7 per mille. Al contrario, uno dei Paesi a più alta natalità è ora la Svezia con un tasso dell’11,4 per mille. Un traguardo che a detta di molti è in gran parte dovuto alle politiche di sostegno alla famiglia messe in atto dal soggetto pubblico. In particolare l’offerta di asili nido a prezzi sovvenzionati e la possibilità per entrambi i genitori di assentarsi a lungo dal lavoro per prendersi cura dei figli senza subire eccessive decurtazioni di stipendio.

A differenza del sistema italiano, quello svedese non prevede periodi di assenza obbligatoria, ma mette a disposizione una certa quantità di giorni che i genitori possono utilizzare al bisogno. Complessivamente ogni genitore dispone di 240 giornate, pagate all’80%, finché il figlio non compie otto anni. Di queste 240 giornate 90 sono godibili solo dal titolare, le altre 150 possono essere cedute all’altro partner. La madre può cominciare a godere del proprio congedo 60 giorni prima del parto. Inoltre durante il primo anno di vita del bambino, i genitori possono godere di un periodo di compresenza fino a 30 giornate. Quanto alle ore trasferibili, non è raro che siano utilizzate prevalentemente dai padri, ormai battezzati 'latte dads', che dopo lo svezzamento provvedono alla cura integrale dei bebè. Le città svedesi sono affollate di giovani padri che spingono carrozzelle o tengono per mano i propri pargoli impegnati a muovere i primi passi. Scenario ancora raro in Italia, dal momento che il nostro sistema previdenziale è strutturato a protezione della nascita senza preoccuparsi troppo del prosieguo.

L'asse portante del nostro sistema di congedo parentale è rappresentato dalla possibilità garantita alle madri di assentarsi dal lavoro, con l’80% della retribuzione, per cinque mesi consecutivi a partire da due mesi precedenti il parto o, dopo l’ultima riforma dello scorso anno, dal giorno del parto. Quanto ai padri, lo abbiamo visto, hanno diritto a una sospensione obbligatoria di appena cinque giorni. Il sistema è integrato da un periodo di astensione facoltativa utilizzabile in misura variabile a seconda di determinate condizioni. Si tratta di 6 mesi dopo il periodo obbligatorio se fruisce del congedo solo la madre e 7 mesi dalla nascita del figlio se il congedo è richiesto solo dal padre. Quando invece il congedo è goduto da entrambi i genitori il limite complessivo è di 11 mesi nel rispetto comunque dei tetti per ognuno dei genitori, quindi se la mamma si assenta dal lavoro per 6 mesi, il padre potrà farlo solo per i restanti 5; se invece il padre si astiene per 7 mesi, il limite per la madre arriverà a non più di 4 mesi. Si tratta di un periodo relativamente lungo, ma a fare da freno all’utilizzo è la retribuzione che è garantita generalmente solo al 30% (in realtà, anche in questo caso ci sono diverse specifiche: indennità piena fino ai 6 anni del bambino, dai 6 agli 8 anni del bambino il pagamento avverrà se il reddito mensile è inferiore a 1.282,5 euro mensili e, dagli 8 ai 12 anni, l’astensione è possibile ma senza indennità).

L'altro grande tema collegato alla gestione dei congedi parentali riguarda la disparità di genere nella divisione del lavoro non pagato, quello svolto in ambito domestico senza il quale non ci metteremmo a tavola, andremmo a giro sporchi, i nostri figli non sarebbero seguiti, i nostri anziani non condurrebbero una vita dignitosa. Un tipo di lavoro non conteggiato nel Pil, ma che secondo il Fondo monetario internazionale rappresenta metà del lavoro svolto a livello planetario. Negli stessi Paesi a reddito medio-alto varrebbe dal 10 al 60% del Pil. Secondo l’Istat, in Italia si attesterebbe al 34%. Non è un mistero che il lavoro non pagato sia effettuato prevalentemente dalle donne. In Pakistan è il 1000% più alto di quello degli uomini, in Egitto l’800%. E in molti casi è particolarmente gravoso per la mancanza di servizi. L’Unicef stima che le ore camminate ogni giorno dalle donne di tutto il mondo per portare l’acqua a casa ammontino a 200 milioni. «Il che corrisponde a 8,3 milioni di giornate – fa notare Sanjay Wijesekera, responsabile Unicef per i servizi igienici – lo stesso tempo che ci separa dall’età della pietra. Simbolicamente ogni giorno arriva una donna dalla preistoria con un secchio pieno d’acqua».

Una delle ragioni per cui nei Paesi a reddito medio-basso il lavoro non pagato delle donne è esageratamente più alto di quello degli uomini è dovuta al basso tasso di occupazione femminile nell’economia formale. Ma si riscontrano divari preoccupanti anche nei Paesi a reddito medio- alto dove il tasso di occupazione femminile non è distante da quello maschile. In Giappone la quota di lavoro non pagato delle donne è quattro volte più alta di quella degli uomini: 3 ore e mezzo contro 50 minuti. In Italia è di 5 ore e 9 minuti contro 2,16, due volte tanto. Negli Stati Uniti le donne si attestano a 3,40 ore al giorno, gli uomini a 2,20, il 60% in più. La Norvegia è il Paese con il divario più basso: 3,35 ore al giorno per le donne, 3 ore per gli uomini, appena il 20% in più. Un risultato dovuto in gran parte a un diverso approccio culturale verso i ruoli di genere, ma favorito anche dal sistema dei congedi parentali che in Norvegia è forse più generoso di quello svedese.

Nel Paese dei fiordi in occasione della nascita di un figlio, ogni coppia riceve in dotazione 49 settimane di assenza retribuita al 100%, di cui 18 riservate alla madre nel periodo iniziale, 15 riservate al padre nel periodo finale e 16 intermedie godibili alternativamente dal padre o dalla madre, secondo la formula prescelta dalla coppia. La dotazione vale per i primi tre anni di vita del bebè ed è combinabile con forme di lavoro part-time adottate per ampliare il tempo di presenza a casa. In aggiunta i genitori possono godere cumulativamente di tre anni di permesso non retribuito fino al compimento del dodicesimo anno del figlio. Permessi che benché non pagati rimangono validi ai fini pensionistici. Si dice che in Italia certe scelte non si possono fare a causa dell’alto debito pubblico. Ma bisogna stare attenti a non utilizzare il debito come alibi per giustificare qualsiasi tipo di ritardo. Anche del tutto illogico e autolesionista.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: