giovedì 16 settembre 2010
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Ogni viaggio del Papa è una storia a sé. Nel senso che ogni pretesa "graduatoria" – in complessità, problematicità, difficoltà – finisce sempre col perdere di significato di fronte all’unicità di ciascun appuntamento. Altrettanto certamente, tuttavia, quello che Benedetto XVI inizia oggi nel Regno Unito condensa, come pochi altri, una serie di motivi di interesse tale da meritargli un’attenzione del tutto particolare. E farne uno degli eventi più attesi. Non solo da un punto di vista religioso, e non solo per il Regno Unito e l’Europa.Ci sono, in primo luogo, la questione dei rapporti tra cattolicesimo e anglicanesimo e quella, comune alle due confessioni, della loro relazione con una società dove la secolarizzazione sembra galoppare, ma in cui nello stesso tempo avanza una nuova domanda religiosa, che chiede spazio e presenza. Ed è proprio questo secondo aspetto, fatto di molta curiosità, forse, ma anche di un genuino interesse per il confronto diretto col Papa, che domina questa britannica (e non solo) vigilia di attesa. Lasciati da parte i più rumorosi che numerosi contestatori, ci si concentra sul pensiero di Ratzinger, e su come il Papa lo declinerà nei prossimi giorni.In questo senso, la stessa identificazione del viaggio – "Per la beatificazione del cardinale John Henry Newman", nella dicitura ufficiale – dice molto. Perché Newman, pensatore modernissimo (tanto da essere definito «Padre assente» del Concilio Vaticano II), ponte tra la tradizione anglicana d’origine e quella cattolica, fu il primo a porsi la questione del rapporto tra la religione e una società in rapidissima mutazione. E non è un caso se tutte le denominazioni cristiane hanno sottoscritto un documento unitario in cui auspicano che l’arrivo del Papa «dia più coraggio alla testimonianza comune».Newman, tra l’altro, oggi è davvero visto come un simbolo di unità tra Roma e la Chiesa d’Inghilterra. I cui rapporti ecumenici, nonostante i notevoli problemi sul tappeto – ordinazione e consacrazione episcopale delle donne e di uomini che vivono apertamente in relazioni omosessuali – restano saldi. In questo, decisivo è stato il contributo che un anno fa Benedetto XVI ha dato con il motu proprio Anglicanorum Coetibus, per l’accoglienza nella Chiesa cattolica di vescovi, preti e comunità anglicani in dissenso con la propria confessione proprio rispetto a quei temi. Lungi da considerarlo un atto "ostile", il testo è stato visto invece come un riconoscimento della validità della tradizione anglicana. E, più concretamente, ha probabilmente salvato l’Arcivescovo di Canterbury dal rischio di uno scisma interno alla Comunione.A dare infine un ulteriore motivo di interesse a questa visita c’è la questione dei rapporti tra la Santa Sede e il Regno Unito. Un rapporto antichissimo, con oltre cinque secoli di storia diplomatica, rimasto costantemente intenso, ma che s’è ulteriormente approfondito proprio sotto Benedetto XVI, il quale per quattro volte in cinque anni ha ricevuto in Vaticano l’inquilino del numero 10 di Downing Street. Un record assoluto. Un riconoscimento reciproco del ruolo giocato da entrambi sul piano internazionale e in particolare, da parte britannica, dell’importanza fondamentale della dimensione "globale" della Santa Sede.Il che, alla fine, si traduce in un’attenzione non solo formale verso le posizioni, pur non sempre condivise, di una Chiesa cattolica alla quale si riconosce pubblicamente di non parlare mai per piccoli o grandi tornaconti. Anche per questo, oggi, a Londra, ci si aspetta dalle parole del Papa un orientamento sui grandi temi dello sviluppo, del dialogo, e soprattutto dell’etica finanziaria. Consapevoli, qui forse più che altrove, che da questa crisi mondiale non se ne esce senza regole nuove, e che non può essere la stessa economia ad auto-dettarsele. Per ascoltare cosa il Papa ha da dire in proposito – alla politica, alla cultura, all’imprenditoria – gli hanno messo a disposizione la Westminster Hall. Il loro pulpito più importante, la loro stessa storia. Perché tutti possano sentire. Non solo nel Regno Unito, ma ovunque nel mondo.
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