Cooperazione e Campagna 070: più giusta percentuale
giovedì 2 dicembre 2021

C’è un fatto che la pandemia ha evidenziato con la brutale eloquenza dei numeri: mai come oggi il pianeta è fortemente interconnesso. La salute di un popolo può dipendere anche da quella di un altro che sta a migliaia di chilometri di distanza. Abiti a Codogno o a Vo’ Euganeo, mai hai sentito parlare di Wuhan, finché quel toponimo non ti entra in casa. Idem dicasi per la variante Omicron: dal Sudafrica all’Europa in un balzo di poche ore.

Funziona così: siamo tutti legati da un destino comune. Ce lo ricordò, il 27 marzo 2020, papa Francesco nel suo discorso in una piazza san Pietro vuota di persone e piena di umane attese: «Con la tempesta, è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli». Non si tratta di considerazioni di stampo confessionale, piuttosto di un invito al massimo del realismo. Del resto, nel corso della recente Cop26 di Glasgow, ne abbiamo avuto l’ennesima conferma: tanto il benessere quanto la salute di ciascun abitante del Pianeta sono inscindibilmente legati agli stili di vita di ciascuno. Tanto vale, allora, prenderci cura gli uni degli altri. Sul serio. Ha ragione Marina Sereni, viceministra degli Esteri e della Cooperazione internazionale quando afferma: «Ci sono sfide mondiali che senza una cooperazione globale e strumenti multilaterali non possiamo risolvere. La cooperazione è dunque sì figlia di buoni sentimenti, ma anche di una scelta razionale».

È a partire da questa consapevolezza che ieri una serie di realtà della società civile impegnate sul fronte della solidarietà hanno rilanciato la Campagna 070, che nutre l’ambizione di sostenere con forza la cooperazione italiana allo sviluppo. Non come un beau geste paternalista, ma quale elemento essenziale di una politica estera organica e lungimirante.

Oggi come oggi, l’Italia non fa una gran figura. Nel 2020 abbiamo investito 3,7 miliardi di euro, il 0,22 per cento del Pil. Davvero poca cosa, se pensiamo che la Germania sta allo 0,74% e la Francia allo 0,60. Arrivare al traguardo dello 0,70% del Pil nazionale in aiuti internazionali vorrebbe dire realizzare una promessa che l’Italia ha fatto oltre mezzo secolo fa, ma alla quale sin qui non ha tenuto fede.

Ebbene: un Paese come il nostro – che negli ultimi anni ha ritrovato un posto di prima fila tra i Grandi e ha riacquistato credibilità all’estero, grazie soprattutto a Draghi e Mattarella – non può sottrarsi a questo impegno. Ne va della nostra identità, oltre che del prestigio internazionale: chiunque abbia viaggiato nel mondo sa che, seppur come italiani abbiamo molto da farci perdonare (ci dice niente Debre Libanos?), tuttavia, per solidarietà internazionale in termini di risorse umane – pensiamo ai tanti missionari, ai cooperanti, ai volontari che lungo i decenni sono partiti dal Bel Paese in direzione Sud del mondo – non siamo secondi a nessuno.

Un’ultima considerazione. L’impegno per una rinnovata cooperazione allo sviluppo non ammette ritardi di sorta. «Non c’è più tempo: il mondo ha fame di sviluppo e di giustizia», sottolineano i promotori della Campagna 070. Per questo, auspichiamo che, a differenza di quanto accaduto in passato, quando c’è da far quadrare i conti non ci vadano di mezzo gli ultimi della Terra. Come ha ammonito Romano Prodi, in quei casi «si toglie sempre all’aiuto allo sviluppo, che non ha nessun difensore specifico in Parlamento». Stavolta, signori e signore della nostra democratica politica, regalateci un finale diverso.

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