Limitarsi a parlare di 'disagio ', quando si accenna alla crisi demografica italiana, come purtroppo continuano a fare in molti è paurosamente riduttivo. La drammaticità della vicenda non è solo nei numeri che esprimono il crollo demografico italiano degli ultimi decenni: non sarà un vero problema – se ci decideremo a governare i flussi migratori, invece di 'clandestinizzarli' – trovare buoni lavoratori, di origine presumibilmente est-europea e nord e centro africana, capaci di inserirsi nei posti di lavoro lasciati liberi dagli italiani per (non) nascita.
La questione è molto più seria: è come fare di questi 'buoni lavoratori' nuovi e 'buoni' cittadini, aiutandoli non solo a impadronirsi di un corretto uso della nostra lingua, ma anche e soprattutto dello stile di vita italiano. Si tratta di plasmare all’'italianità ' migliaia di persone non necessariamente interessate a Giotto, a Manzoni o a Pirandello, ma attaccate naturalmente e anche con passionalità alle loro tradizioni d’origine e in particolare ai messaggi che da esse derivano, capaci di orientare non solo la loro spiritualità di credenti (cristiani e no), ma anche e soprattutto la quotidianità della vita.
Ciò comporta, però, un prezzo da pagare, tutt’altro che irrilevante. In una società multietnica come è ormai diventata quella italiana, e destinata, come più di tutti da anni ci ricorda Angelo Scola, cardinale e pensatore, a diventare uno dei principali laboratori europei di un vero e proprio «meticciato culturale». È indispensabile che tutte le nostre istituzioni, a partire dalla scuola di base, si aprano al riconoscimento e all’armonizzazione dei valori di culture extra-europee. Come è più che giusto che le nuove generazioni, soprattutto quelle di tradizione islamica, nate e culturalizzate in Italia, apprendano il prima possibile la grandezza dell’arte, della letteratura, della musica e della tradizione cattolica del nostro Paese, così è indispensabile che agli studenti delle nostre scuole italiane non continuino a essere offerte le stereotipate e frettolose nozioni manualistiche sull’islam, elaborate magari da stanchi e antiquati manuali di storia medievale; è necessario che essi siano introdotti nel cuore di una cultura e di una fede tuttora viventi.
E così per altre culture e religioni, comprese le tradizioni cristiane diverse dalla nostra. Altrimenti il destino sarebbe segnato: una società italiana divisa in sfere etniche: ne è già un tragico esempio la società statunitense di oggi, grossolanamente divisa tra bianchi, neri e ispanici, cui si aggiungono numerose comunità minoritarie, in sé di portata numerica limitata, ma pronte a ciniche e fluide alleanze con le comunità maggioritarie, quelle volta per volta prevalenti.
Si tratta di vere e proprie 'sfere' – continuiamo a vederlo ogni giorno – caratterizzate da tensioni e irriducibili violenze reciproche e soprattutto da volgari e immotivate contrapposizioni, prive di ogni dignità storico-culturale. Insomma, solo nella scuola, in una scuola di base, capace di aggregare con intelligenza i ragazzi e non di integrarli meccanicamente, una scuola vivacizzata da un corpo insegnante rinnovato e consapevole, possiamo percepire la speranza di una società futura, che non veda nel crollo demografico un semplice e tragico fattore numerico, ma un’occasione per un passo storico in avanti: un passo certamente di straordinaria complessità, ma anche foriero di altrettanto straordinarie e spesso ancora ignorate opportunità.
È così che si cammina verso un’Italia di domani che non sia un coacervo di 'sfere', ovvero di nuovo 'fatta a pezzi'. Parla di questo chi parla di ius culturae– come ha fatto il presidente della Cei, cardinale Bassetti, come sulle pagine di questo giornale si fa da anni, ragionando di cittadinanza, dei suoi diritti e dei suoi doveri – oltre la sterile contrapposizione tra un inutilmente vagheggiato ius soli e un sempre più inadeguato ius sanguinis. E anche qui sarebbe ora di passare dalle parole ai fatti.