martedì 26 aprile 2022
La denuncia del Sipri: nel 2021 le varie potenze mondiali hanno dilapidato in armi ed eserciti la cifra record di 2.113 miliardi di dollari, il 2,2% della ricchezza globale
Per le spese militari nel mondo un'inquietante crescita senza fine
COMMENTA E CONDIVIDI

Sono passati più di 1.600 anni da quando Vegezio coniò il motto bellicoso «se vuoi la pace, prepara la guerra». Sembra che il mondo continui imperterrito a dargli ragione, nonostante i tanti moniti di papa Francesco. Il Pontefice ha più volte espresso la sua contrarietà all’aumento delle spese militari, guerra in Ucraina o meno. Le tensioni sui bilanci della difesa sono una vera 'pazzia' per il Papa. Eppure tutto sembra già preludere al peggio. Nel 2021, le varie potenze mondiali hanno dilapidato in armi ed eserciti la cifra record di 2.113 miliardi di dollari, il 2,2% della ricchezza mondiale.

Lo certifica con amarezza l’Istituto per gli studi sulla pace di Stoccolma (Sipri). Nello stesso anno, le spese globali per l’aiuto allo sviluppo hanno rappresentato non più di 179 miliardi di dollari, un ammontare senza precedenti per munificenza. Il che è tutto dire. Già nel 2021, il Sipri aveva notato che, a dispetto della crisi economica pandemica, le spese militari mondiali nel 2020 erano cresciute fino a raggiungere la cifra mostruosa di 1.981 miliardi di dollari. Un aumento reale del 2,6% in un anno, che ha sottratto risorse alle spese sociali e sanitarie. Il Sipri si interrogava all’epoca se il trend sarebbe continuato anche durante il secondo anno di pandemia. E i dati del 2022 confermano la tendenza. Dal 2018, la Banca mondiale non fa che ammonire: le spese militari hanno ripreso a pesare sempre più sull’economia mondiale. Solo grazie all’aumento temporaneo della ricchezza nel 2021, il peso dei bilanci armati è passato l’anno scorso dal 2,3% al 2,2% del Pil.

Stati Uniti e Cina guidano le danze macabre. Sono avvitati in una corsa agli armamenti senza fine. Contano per oltre metà del bilancio militare mondiale (52%). Insieme all’India, al Regno Unito e alla Russia spendono il 62% del totale globale. È un dato che fa riflettere: la deterrenza delle armi, per funzionare, ha bisogno di equilibri reciproci. Altrimenti fomenta solo le guerre e il commercio sregolato di armamenti. La Francia ne è un esempio: l’aumento vertiginoso delle spese militari, deciso dalla presidenza Macron, ha portato a una crescita notevole dell’export di armi, che dal 2015 si aggirano sui 17 miliardi di euro l’anno. Fino al 2012 non superavano i 6 miliardi. Tenuto conto delle tensioni internazionali e del potenziamento militare dei paesi revisionisti dell’ordine mondiale attuale, come Russia, Cina, Iran e Corea, le vendite di armi resteranno a livelli storicamente alti anche nei prossimi anni.

Parigi vale da sola l’11% del commercio mondiale di armamenti, superata solo da Russia (19%) e Usa (39%), che si spartiscono il grosso di una torta pesante 100 miliardi di dollari l’anno. La Cina è solo quarta (4,6%). Ma fa parlare di sé per altri motivi, insieme agli Stati Uniti. Ha raddoppiato gli sforzi finanziari militari fra il 2011 e il 2021. E il 5 marzo, il premier Keqiang ha annunciato un incremento ulteriore del 7,1%, a fronte di una crescita economica stimata al 5,5%. È il 27° anno di fila che il suo paese aumenta le spese militari, costringendo tutti i vicini dell’Asia-Pacifico a fare altrettanto. L’India, afflitta da molti mali, ha stanziato per le armi un 33% di risorse in più fra il 2012 e il 2021. Anche la Russia, quinto paese in questa classifica poco gloriosa, destina oltre il 4% del Pil alle forze armate. Ha aumentato lo sforzo nei tre anni precedenti l’invasione dell’Ucraina, segno che la guerra era già nell’aria e che i timori del Papa sulla crescita delle spese militari sono più che giustificati.

Approfittando della guerra in Ucraina, anche il governo federale americano ha dirottato altri 31,6 miliardi di dollari sul bilancio del Pentagono, portandolo da 781,8 miliardi di quest’anno a 813,4 dell’anno prossimo. Più di 50 miliardi di dollari finanzieranno il comparto delle armi nucleari. Gli americani stanno investendo tantissimo nella ricerca e sviluppo di armi di rottura, che garantisca- no loro la supremazia tecnologica nei prossimi decenni. È dalla seconda guerra mondiale che la ricerca e sviluppo militare cresce, con l’obiettivo di confezionare armi superiori a quelle del nemico di turno. Sta generando una corsa tecnologica bellica: 69mila milioni di dollari l’anno sono bruciati nel settore della ricerca militare solo dagli americani. La Cina segue con 20-22mila milioni di dollari, mentre la Russia si ferma a 8mila-10mila milioni di dollari. Sommando tutti i paesi, il perfezionamento delle armi fagocita 116mila-123mila milioni di dollari l’anno. Un esempio aiuta a capire meglio. Lo sviluppo del cacciabombardiere Rafale era costato in tutto ai francesi 43 miliardi di euro.

Il successore, già in itinere, ne richiederà come minimo 80. Un ospedale di 20mila metri quadri costa all’incirca 40 milioni di euro. Fatevi due calcoli. È tutto un mondo che gira a rovescio. I dati del Sipri fotografano dati drammatici e purtroppo già vecchi. La guerra in Ucraina sta spingendo anche l’Europa, il Canada e i paesi neutrali a riarmarsi. C’è un flusso di armi crescente, balzato nel continente europeo dal 10% del 2017 al 13% attuale. Il 1° Marzo, il quotidiano polacco Krytyka Polityczna ha salutato la decisione del vicino tedesco di aumentare le spe- se militari con un fondo di 100 miliardi di euro e un budget militare che sforerà nel 2023 il 2% del Pil. Ma il giornale di sinistra ha anche ammonito: «Non è affatto certo che in futuro la Germania avrà politici moderati e ragionevoli». Il 2% del Pil è bissato abbondantemente anche a Varsavia.

Scosso dall’invasione russa dell’Ucraina, il vice premier Kaczynski ha già annunciato un emendamento per far lievitare il budget militare al 3% del Pil fin dal 2023 e di aumentarlo anche in seguito. L’Italia seguirà il corso generale, spingendosi al 2% entro il 2028. Nel solo 2021 i paesi europei hanno speso per la difesa e per le armi 418 miliardi di euro, facendo segnare una crescita del 19% dal 2012 a oggi. Anziché cooperare, gli europei tendono però a concorrere. Nella ricerca tecnologica militare, i progetti svolti in comune rappresentavano il 22% nel 2005. Oggi siamo a meno del 9%. L’Agenzia europea per la difesa riceve appena lo 0,4% dei fondi per i progetti di categoria A, quelli che gestisce direttamente. Se aggiungiamo i progetti B, lanciati dall’Agenzia, ma finanziati direttamente dagli Stati, i conti non tornano lo stesso: il massimo mai raggiunto è stato di 144 milioni di euro nel 2009. Sui 2,3 miliardi spesi in tutto dai 27 nella ricerca tecnologica militare, il massimo di cui ha potuto beneficiare l’Agenzia è stato di 8,7 milioni nel 2010. Dopo è stato un declino continuo, a dispetto di tanta propaganda. Ognuno fa per sé, perché geloso della sovranità tecnologica. Si spende così più del necessario e male.

Vedremo se la scommessa del nuovo Fondo europeo per la difesa avrà successo: il finanziamento comunitario dovrebbe favorire i progetti cooperativi, riducendo l’investimento richiesto a ogni paese partecipante. Intanto, si annunciano anni amari, perché le spese militari stanno aumentando pure in Africa. Nella fascia subsahariana sono in corso 11 guerre. Un dramma nel dramma, perché la brama delle armi sembra contagiare un po’ tutti e non fa che alimentare i 21 conflitti maggiori di questa terza guerra mondiale a pezzetti, denunciata più volte da papa Francesco. Il cammino per debellare la guerra pare ancora lungo.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: