Pedofilia: le norme di trasparenza stabilite dal Papa
mercoledì 18 dicembre 2019

C’è qualcosa che somiglia a un fuoco, nelle parole scarne dei rescritti con cui il papa Francesco ha abolito il segreto pontificio sulle denunce, i processi e le decisioni circa i delitti sessuali commessi da ecclesiastici. Un fuoco di dolore che risponde al pianto delle vittime, una fermezza dura fino a stringer la vite nella definizione dei reati, una purificazione invocata e intrapresa, una trasparenza risoluta e totale. Sono delitti che l’ordinamento giuridico della Chiesa giudica tra i più gravi, e non da oggi soltanto. Sono abusi verso minori o persone vulnerabili, ed è pedopornografia.

Delitti così gravi al punto da esser devoluti alla Congregazione per la dottrina della fede, quella delle eresie e degli scismi. Anche quell’ordinamento ha i suoi processi, le sue sentenze, le sue pene. E il suo segreto, che in alcune vicende è più stretto del riserbo ordinario, e prende figura di 'segreto pontificio'. Ma da oggi non più, per volere del Papa.

Non più per gli abusi sessuali. Da oggi gli atti saranno accessibili alle magistrature che ne faranno richiesta, avendo in corso indagini istruttorie o dibattimenti riguardanti i medesimi fatti. Non è ovviamente un accesso indiscriminato, che metta tutto in piazza, alla curiosità di tutti. C’è un riserbo irrinunciabile, quello ordinario imposto dal canone 471; esso resta doveroso, riguardando l’immagine e la fama e la sfera privata di tutte le persone coinvolte. Più che a far velo alle gogne, si provi a pensare che ci sono volti e biografie di minori. La sostanza dunque, che rimane rivoluzionaria, è che gli atti della giurisdizione ecclesiastica sono ora un libro aperto all’esame della giurisdizione civile.

C’è di più: uno scandalo nello scandalo, in passato, è stata l’accusa di silenzio mossa contro quei 'superiori' di preti imputati che si sospettava avessero saputo e taciuto. Ma è scritto chiaro, nella norma dettata dal Papa, che neppure per queste vicende, se accadute e indagate, non c’è più segreto pontificio. E dunque si offrono a totale radiografia le condotte, attive o omissive, dirette «a interferire o eludere le indagini civili o le indagini canoniche, amministrative o penali ». Completa il quadro della trasparenza, a guisa di blindatura, il divieto fortissimo di imporre vincoli di silenzio a chi segnala, a chi si dice vittima, a chi è testimone. E poi, il delitto di pedopornografia ora dilata la sua fattispecie edittale. Ora si estende la protezione dei minori, in questo campo, da 14 a 18 anni. Difficile stimare se i numeri della casistica ne risultino ampliati, e di quanto. Ma sul piano simbolico è una stretta importante; essa segnala quanto sia vitale, quanto stia a cuore questo orizzonte; vi si staglia la contraddizione atroce fra la santità del ministero e il tradimento.

Nella sua lettera del 7 maggio scorso il Papa iniziava con le parole del Vangelo «Voi siete la luce del mondo» per rapportare a quella essenziale vocazione il dolore e il bisogno di conversione «continua e profonda dei cuori», e metteva parole tremende chiamando crimini i crimini, ma non lesinava altre parole, a loro modo inversamente tremende, come santità personale e impegno morale. Sissignore, santità; santità e impegno «che coinvolgano tutti nella Chiesa».

A questi tutti , nella storica svolta della trasparenza dei processi, spetta dunque quel compito. Un singolo prete che tradisce è una tragedia e uno scandalo, ma il panorama degli abusi è sterminato nelle nostre società, rispetto a quella macchia. Ciò non attenua lo scandalo e la tragedia che fa il prete che tradisce e abusa, però avverte 'tutti' che c’è un bisogno comune di sincerità, di trasparenza, di squarcio di ogni velo segreto, e dunque di conversione comune. Le nuove norme, pur della Chiesa, sono dunque per tutti. Dicono più luce, più verità. E, come prima, mai più. E dalla verità, detta a noi stessi, la speranza. Una speranza che non dà riposo.

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