Per le persone con disabilità le feste sono spesso giorni molto difficili
In questi giorni si celebra la Pasqua, che per i cristiani rappresenta il passaggio da un prima a un dopo, dalla vita terrena a quella celeste. Questo passaggio avviene percorrendo le tappe della Via della Croce, che con la sua simbologia potentissima, ci ricorda la condizione di fragilità, in linea di principio comune a ogni essere umano. È la fragilità, infatti, nelle sue molteplici coniugazioni, il vero filo invisibile che ci tiene insieme, che consente di riconoscerci l’un l’altro come pari, al di là di qualunque sovrastruttura posticcia, derivante dal luogo di nascita, dalla condizione sociale o dal genere di appartenenza. Siamo umani e per questo siamo fragili, punto!
E a sottolineare con forza l’universalità e l’importanza di questa condizione è più di ogni altra cosa, il fatto che il figlio di Dio, non sceglie di essere un supereroe invincibile, ma decide di essere foglia al vento, tra le foglie al vento, volutamente, consapevolmente.
La cultura strisciante della marginalizzazione della sofferenza, del rifiuto della persona come scarto, dell’indifferenza crescente rispetto alle condizioni di difficoltà, rappresenta allora, nelle società occidentali contemporanee sempre più permeabili a queste ipotesi di emarginazione, l’antitesi assoluta delle più basilari forme sia di cristianesimo che di umana laicità.
Di tali situazioni ne sanno qualcosa i disabili gravissimi, che più di ogni altro, vivono sulla pelle la loro Via Crucis quotidiana, inchiodati, più o meno, metaforicamente a un letto e senza nessun Cireneo che possa dare loro, qualsiasi tipo di cambio.
È verso costoro che dovremmo rivolgere il nostro pensiero in questi giorni e indirizzare la nostra attenzione alle loro esistenze nei mesi successivi. Rendersi conto del peso di ogni privazione a cui sono soggetti, avere contezza della loro non qualità della vita, immedesimarsi nella fatica di ogni singola Maddalena presente in quelle famiglie, che cerca di lenire le piaghe del corpo e ne condivide, suo malgrado, quelle dello spirito.
L’invocazione fatta da Gesù Cristo sulla croce «Padre, padre, perché mi hai abbandonato?», che riecheggia anche in quelle case e in quelle circostanze, non è una disperata richiesta di fine corsa, ma al contrario è un desiderio incontenibile di vita, della consapevolezza della sua sacralità, rispetto al quale è necessario fare scelte, convogliare supporto, sostegno e risorse.
Questo servirebbe e invece manca il giusto tasso di attenzione, che è un dovere morale per ogni società civile, che dovrebbe sentire e fare propria. Siamo umani e per questo siamo fragili, tutti! Ricordiamocelo, pure quando avremo finito di scartare l’ultimo uovo e digerito l’ultima colomba.