Per i cattolici in politica cade un altro alibi paralizzante
venerdì 16 giugno 2023

La parabola di Silvio Berlusconi è stata un alibi per molte culture politiche che, per via della sua presenza ingombrante, hanno rinunciato (almeno in parte) a produrre pensiero ed alimentare la vita democratica del Paese. Dietro il Cav si sono rifugiati i liberali, i riformisti, i “moderati”. La sua presenza ha portato per anni ad una esclamazione rassegnata, “non ci sono spazi!”, preludio o di minoritarie adesioni tattiche al centrodestra o di conversioni fideistiche al berlusconi-smo o di cattedratici aventini polemici. E per tanti, che si riconoscevano almeno nel nucleo minimo di culture politiche rilevanti, Berlusconi è stato la “scusa” per disimpegnarsi, cedere all’indifferenza, all’astensione, alla deresponsabilizzazione.

Processi di allontanamento dalla sfera pubblica che hanno ridotto gli anticorpi politici di milioni di cittadini, poi fatalmente caduti nelle illusioni populiste e sovraniste. Anche per i cattolici in politica Berlusconi è stato l’alibi perfetto per dissipare un bel pezzo di patrimonio. Per il cattolicesimo democratico e sociale l’alibi-Berlusconi (le sue numerose cadute di stile e le sue ombre mai dissipate) giustificava in sovrabbondanza una presenza tenue e sostanzialmente subordinata – nonostante la doppia vittoria di Romano Prodi – in alleanze di centrosinistra in cui la componente di sinistra non riusciva (e non riesce) a rinunciare ad un’indole egemonica. Per i cattolici liberali e conservatori l’alibi-Berlusconi (la sua potenza mediatica e la sua presa sugli elettori) era il tasto “off” che spegneva ogni ipotesi di sussulto contro compromessi eccessivamente al ribasso per essere considerati politicamente ed eticamente accettabili. Sino al punto che autorevoli esponenti cattolici di centrodestra hanno dovuto spendersi nelle aule parlamentari per sostenere la tesi imbarazzante della “nipote di Mubarak”.

Adesso che Berlusconi non è più sulla scena, il cattolicesimo politico può guardarsi allo specchio con qualche alibi in meno. Debole e per lo più strumentalizzato nel destra- centro meloniano, affaticato e attendista nel sinistra-centro che immagina il nuovo corso del Pd. E con l’unità che non è nemmeno un’ipotesi, data la spietatezza dei numeri elettorali. Sarebbe tuttavia un errore non provare a inserire anche il cattolicesimo politico dentro il dibattito sulle (presunte) conseguenze elettorali che potrebbero verificarsi con l’addio di Berlusconi. Non sarà una voragine, ma certamente uno spazio torna contendibile. È noto che almeno la metà dell’elettorato del Cav. già guarda verso Meloni (e in parte minore verso Salvini). Ma l’altra metà si sente “moderata” – così dicono gli addetti ai lavori – ed è infatti finita immediatamente sotto la lente di Matteo Renzi. Ma sia i cattolici che ora collaborano da posizione decisamente minoritaria con le destre, sia coloro che non vogliono sganciarsi dall’orbita del Pd, potrebbero approfittare di questo dibattito per provare a tendere il proprio campo politico verso il centro – inteso non come vuoto d’identità ma come luogo della responsabilità, del buon senso e della mediazione –. O almeno provarci, non fare da spettatori.

Allo stesso tempo, anche nuove esperienze politiche di ispirazione cristiana, che da anni sui territori provano a prendere quota, non dovrebbero rinunciare a parlare a un pezzo di elettorato che guardava al Cav. sia perché prometteva un ancoraggio – più teorico che pratico – alle “radici cristiane” sia perché assicurava un approccio pragmatico e non estremista ai temi del governare.

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