mercoledì 11 marzo 2015
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Caro direttore,il 6 marzo “Avvenire” titolava in prima pagina con caratteri forti: «Fermare la pena di morte», con foto di una fiaccolata. Ovviamente lo scopo è quello di abolire la pena di morte per coloro che, colpevoli di gravi delitti, i tribunali hanno condannato. Si tratta quindi di modificare gli ordinamenti legislativi dei vari Stati che ancora la prevedono. Nonostante ciò, i delitti gravi in quegli Stati continuano ad accadere. Però ci si mobilita in tutte le forme possibili, per arrivare a questo traguardo di civiltà e di rispetto delle persone. Vorrei aggiungere un altro elemento per un delitto gravissimo verso persone che non hanno commesso alcun reato, nemmeno piccolo, eppure vengono condannate a morte prima ancora di vedere la luce. Ma non se ne parla più, tanto ci si è assuefatti a tale crimine, che da anni anche in Italia è permesso dalla legge. Come è numeroso quel popolo di innocenti! E nessuno più pensa di fermare questa guerra dell’aborto. A quando un ravvedimento morale e legislativo?Luigi Cantù
Caro direttore, nella mia città si vedono più cani che bambini. E i proprietari spendono non solo per nutrirli, ma per il guinzaglio anatomico, i cappottini e/o gli impermeabilini e altro ancora. Mentre ci sono persone senza lavoro e famiglie che non ce la fanno. Due situazioni che scorrono parallele. Papa Francesco, con energica franchezza, richiama alla solidarietà e a rimettere ordine nella scala dei valori. Per questo la pubblicità che esce ciclicamente su “Avvenire” (con uno slogan sull’«Italia cucciolona» e una frase di Gandhi così partecipe verso gli animali e, quindi, così offensivi per gli umani che non ce la fanno economicamente) mi pare proprio una contraddizione o, se vuole, una contro-testimonianza. La pubblicità è per salvare i cuccioli: ma a chi importa di salvare i bimbi abortiti? Certo il Movimento per la Vita, con cui collaboro anch’io, ma chi altri? Insomma, capisco la necessità di finanziamento del giornale, ma credo che non possa passare per qualcosa che non è giusto. Lettera firmata
Battersi contro la pena di morte è giusto? Sì. Amare e difendere gli animali è giusto? Sì. Chiedere la fine delle esecuzioni capitali e impegnarsi per gli altri esseri viventi toglie qualcosa agli esseri umani piccoli e indifesi? No. Cari amici, avete inviato lettere diverse per tema eppure convergenti nel lamentare amichevolmente, ma in modo vibrante, l’attenzione (per titoli ed evidenza) o l’ospitalità (in forma di pubblicità) date da “Avvenire” a questioni che sarebbero meno importanti o che, in qualche modo, potrebbero “distrarre” dalla tragedia dell’aborto. Vi rispondo, con la stessa amicizia, attraverso la piccola serie di domande e risposte che aprono la mia replica. Due “sì” e un “no”. “Sì” e “no” che sono pronto a ripetere mille volte in ogni sede, e che sfido chiunque a dimostrare insensati. Nel “più” c’è ogni “meno”. Ammesso che “meno” sia. Perché tutto ciò che tocca la vita degli uomini e delle donne e la loro responsabilità mi riguarda e m’impegna a pensare e agire in modo coerente e giusto (sono uno di quelli che cercano, da anni, di tradurre così nella propria vita ciò che seppe dire in modo definitivo Terenzio: «Homo sum: humani nihil a me alienum puto»). La vita, la responsabilità e la coerenza, amici miei. Per i cristiani sono nomi dell’amore. Che nessuno e nulla escludono nell’umanità e nel mondo che Dio ha creato.
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