La violenza e il dolore: quanta sofferenza interiore senza l'amore
martedì 24 agosto 2021

Se solo la smettessimo di guardarci in cagnesco, di alzare smoderatamente i toni, di considerare l’altro come il rivale o il nemico di annientare. Se solo fossimo capaci di fermarci per capire davvero che cosa necessita all’uomo di questo inizio terzo millennio per non farsi e fare inutilmente male.

Italia, agosto 2021, tempo di pace. Poche i morti delle mafie, molti quelli dovuti agli omicidi stradali. Il suolo, che pur da qualche parte non ha smesso di tremare, non ha fatto danni. Nessuna vittima dovuta al terrorismo, molte – tante! troppe! – le donne umiliate, offese, massacrate dai maschi con cui avevano o avevano avuto una storia d’amore. Ce n’è abbastanza.

La presidente della Commissione d’inchiesta del Senato sui femminicidi, la senatrice Valeria Valente, riconosce che è “un fallimento dello Stato”. Perché, allora, tanto pigro e spietato ritardo nel correre ai ripari? A ognuno, comunque, le proprie riflessioni e le decisioni da prendere in base al ruolo istituzionale che occupa.

Nei giorni scorsi, a pochi passi da casa mia, un bambino di soli tre anni è stato sbalzato dalla minuscola utilitaria guidata dal suo papà da un'auto di grossa cilindrata arrivata a folle velocità. Il piccolo aveva già perduto la sua mamma pochi mesi prima. Inimmaginabile il dolore del padre. Gli ultimi quattro femminicidi, due dei quali terminati con il suicidio dell’assassino, ancora una volta, hanno scosso gli animi degli italiani. Quanto dolore! Da millenni l’umanità si è posta il problema della sofferenza umana. Da millenni, purtroppo, riesce solo a balbettare. Contro il dolore fisico, abbiamo raggiunto risultati soddisfacenti. La vita si è allungata, la medicina palliativa riesce a eliminare lo spasimo acuto e insopportabile di certe malattie. Anche per le sofferenze dovute alla cattiva e disonesta distribuzione delle risorse umane, se e quando vuole, l’umanità sa dare una risposta. Basta trovare il coraggio di aprire i granai dei Paesi ricchi per sfamare e far felici i poveri dei Paesi poveri. Purtroppo, a mio avviso, è sulla sofferenza più diffusa, quella che aggredisce il mondo in modo trasversale, colpisce le persone colte e quelle analfabete, i giovani e gli anziani, le donne e i maschi, che non sappiamo – o forse non vogliamo? – riflettere.

È alla sofferenza dovuta alla povertà che ogni essere umano sperimenta in se stesso e che lo porta a cercare l’altro o l’altra per avere completezza che mi riferisco.

La maggior parte delle persone oggi in preda alla depressione, al disagio, alla disperazione, lo è per motivi di “amore”. Anche la stragrande maggioranza dei suicidi affonda in questo ambito le proprie motivazioni. L’uomo si avverte incompleto, con “un’ala sola” diceva don Tonino Bello, e va alla ricerca dell’altra ala con cui volare. L’uomo, insomma, ha bisogno di amore, anche quando non lo sa, quando non se ne accorge e magari lo deride e gli cambia i connotati. L’amore di coppia, però, è diverso da quello materno, fraterno, amicale. È un amore che coinvolge tutte le dimensioni dell’essere umano.

Chi ama diventa fragile, necessita dell’altro, lo cerca, lo vuole. Nel rapporto di coppia, amore ed egoismo si fondono e si confondono. Bisogna stare attenti, essere onesti fino a farsi male, per non ingannare e lasciarsi ingannare. Come tutte le cose importanti anche l’amore dovrebbe essere insegnato. Ma chi è preparato ad assumersi questo difficile e nobile incarico? Chi dovrebbe essere in grado di prendere per mano gli adolescenti e aiutarli a incamminarsi per il bellissimo e insidioso sentiero dell’amore? Gettiamo via la maschera. Guardiamoci attorno.

Sulle bancarelle della vita, oggi, si può trovare di tutto e a poco prezzo. Ma, si sa, ciò che costa poco vale poco. Per avere buoni risultati, in ogni campo, occorrono preparazione, rinunce, pazienza, sacrifici. Vale anche nel campo dell’amore e del vivere civile. Necessita, con urgenza, tornare a insegnare le antiche virtù della prudenza, della pazienza, del rispetto per gli altri. Se poi, tutti, credenti e non credenti, insieme, senza preconcetti e senza paure, ci ponessimo in ascolto del vangelo, ci accorgeremmo che tutto è dono. Un dono da custodire, difendere, promuovere, amare. Ci accorgeremmo, finalmente, di vivere, come scriveva Chesterton, nel “paese delle fate”.

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