sabato 4 agosto 2012
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La lotta contro la pena di morte ha conosciuto nell’ultimo quarantennio notevoli successi. Se guardassimo a una cartina del mondo colorando in verde i Paesi abolizionisti e in rosso quelli che ancora usano la pena capitale, oggi il Pianeta avrebbe più zone verdi che rosse. Non era così quarant’anni fa, quando gli Stati che avevano già abolito la pena di morte erano soltanto 23 e il mondo (come la nostra cartina) aveva i continenti quasi tutti tinti di rosso.Oggi i Paesi completamente abolizionisti sono 99, quelli che non usano la pena di morte per i reati comuni sono 7, mentre sono 44 i Paesi abolizionisti de facto, quelli, cioè, che pur avendo nel loro ordinamento la pena capitale, non ne fanno uso da anni, ai quali vanno aggiunti 5 che applicano una moratoria. Ne restano 43 a mantenere la pena di morte, ma non tutti la usano regolarmente. Negli ultimi dieci anni sono stati più di 30 i Paesi che hanno abolito la pena di morte nella legge o nella prassi.Passi avanti si sono fatti anche negli Usa, il più grande Paese occidentale a fare ancora uso del boia in diversi suoi Stati. Ma anche qui, negli ultimi anni, agli abolizionisti si sono aggiunti il New Jersey, il New Mexico e l’Illinois. A fine anno si attende il referendum in California, dove la scelta abolizionista sarebbe dettata anche dalla eccessiva onerosità economica delle esecuzioni per il bilancio statale, e in tempo di crisi si possono creare convergenze con varie motivazioni, purché l’obiettivo si raggiunga. Negli Usa gli Stati abolizionisti sono 17, mentre 33 mantengono ancora la pena capitale nel loro ordinamento.È auspicabile che questo lungo cammino conduca presto all’abolizione universale della pena di morte, così com’è avvenuto per la schiavitù o la tortura. È un percorso impervio, che ha bisogno di buone notizie. Le più rilevanti, in questi ultimi anni, sono giunte dall’Africa che si sta avviando a essere il secondo continente senza la pena di morte nel mondo, dopo l’Europa. È un cammino verso la civiltà che va sostenuto con sempre maggiore forza dalla comunità internazionale.Quest’anno la prima buona notizia era arrivata dalla Mongolia: a gennaio il Parlamento di Ulan Bator, con l’Adozione di un Protocollo, ha impegnato il Paese di fronte alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale a non fare più ricorso alla pena di morte e ad adottare le misure necessarie per la sua abolizione nel sistema giurisdizionale. La notizia è particolarmente positiva perché giunge dall’Asia, il continente in cui si registrano ogni anno più del 98% delle esecuzioni.Il rapporto annuale di Nessuno tocchi Caino, presentato ieri, ha evidenziato ulteriori progressi. Nel 2011 solo 19 Paesi hanno fatto ricorso alla pena capitale. Tra essi, molti sono Stati dittatoriali, autoritari o illiberali. E questa è già una buona notizia perché sempre più si afferma la divaricazione tra democrazie e uso della pena di morte.Altra nota positiva viene da Pechino. Certo, le 5.000 esecuzioni in Cina restano un dramma e una sconfitta, ma il progresso appare evidente se si considera che alla fine degli anni Novanta queste “uccisioni legali” erano diecimila l’anno, che nel 2006 erano scese a ottomila e che da allora il calo continua. Inoltre, le autorità cinesi hanno iniziato a porre maggiori vincoli all’applicazione della pena capitale e questo lascia sperare in ulteriori riduzioni delle esecuzioni.Lo scorso novembre Benedetto XVI, ricevendo i ministri della giustizia di vari paesi partecipanti al Congresso: “Non c’è Giustizia senza Vita”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, ha incoraggiato quelle «iniziative politiche e legislative promosse da un numero crescente di Paesi per eliminare la pena di morte e per continuare i progressi sostanziali realizzati per conformare il diritto penale sia alla dignità umana dei carcerati che a un efficace mantenimento dell’ordine pubblico».Le buone notizie ci sono, e i cristiani in molti Paesi sono sempre più in prima fila per difendere la vita dei condannati a morte.
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