mercoledì 26 febbraio 2014
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Sedici in tutto i ministri del governo presieduto da Matteo Renzi e la metà sono donne. Molti commentatori hanno rilevato con compiacimento questo dato e nello stesso tempo hanno osservato che, di per sé, il perfetto equilibrio dei sessi nel nuovo governo non dice nulla. È solo un segnale, interessante, incoraggiante, anche se per qualcuno un po’ irritante, perché consente di verificare ancora una volta ciò che le donne sanno benissimo, cioè che quando si deve valutare il loro lavoro (come accadrà prestissimo per le nuove ministre) «il livello di critica inevitabilmente si alza». Ciò non toglie, però, che, come segnale, quello della perfetta parità di genere sia ritenuto da tutti interessante.I pessimisti diranno però che non dobbiamo farci troppe illusioni. Simili segnali (essi sostengono) si limitano a dare informazioni, o comunque indicazioni, ma il mero fatto che ci siano non ne garantisce certo l’attendibilità. Gli iper-pessimisti, cioè i cinici, aggiungeranno che dei segnali bisogna sempre sospettare: spesso essi sono astutamente posti non per orientare, ma per sviare chi a loro si affida. Invece gli ottimisti rileveranno che un segnale, soprattutto quando è nuovo e occupa uno spazio prima non segnalato, merita sempre fiducia. Gli iper-ottimisti, cioè gli entusiasti, arriveranno a dire che certi segnali sono belli e affascinanti di per sé, come certe immagini pubblicitarie che incantano a prescindere dalla merce che intendono pubblicizzare. Insomma, la presenza al governo di un numero di donne così perfettamente equilibrato rispetto a quello degli uomini sarebbe cosa troppo rilevante per non dargli non solo la dovuta, ma la massima attenzione. Sì: ma perché?Immagino a questo punto l’irritazione di qualsiasi possibile lettrice (o lettore) di queste righe. Ha senso perdere tempo a spiegare perché alle donne vada doverosamente riservata una considerazione del tutto pari a quella riservata agli uomini? La parità dei sessi non è solo una convinzione sociale, giuridica, costituzionale, psicologica, religiosa ormai radicata nel nostro tempo, ma ancor più una conquista irreversibile di civiltà. Il problema tutt’al più non dovrebbe essere quello di interrogarci sulla parità tra uomini e donne, ma quello di promuoverla e tutelarla. Ogni indugio riflessivo al riguardo sarebbe non solo regressivo e politicamente scorretto, ma antropologicamente scandaloso. Tutto vero, se non restasse un dubbio fastidioso. Se davvero così stessero le cose, perché insistere (come fanno tutti o almeno tutte le persone di buon senso) sul fatto che la parità di genere nel nuovo governo non sarebbe "di per sé" (lasciando stare cioè l’effetto "pubblicitario" di una svolta) risolutiva di alcunché? Non sarà forse perché, proprio nel momento in cui le quote rosa sono perfettamente rispettate, è inevitabile intuirne il carattere mitopoietico, cioè il totale vuoto antropologico? Non sarà perché, facendo accedere le donne a qualsiasi ruolo sociale (e in particolare a quelli ritenuti tradizionalmente maschili) si ottiene – a dispetto di ogni buona intenzione – un risultato contraddittorio, quello (intenzionale) di rendere giustizia al sesso femminile e nello stesso tempo quello (non intenzionale) di umiliare la diversità di genere, iper-mascolinizzando l’identità delle donne?È tempo ormai di prendere atto di un duplice fatto: che da una parte non abbiamo più alcun giusto argomento, oggi, per escludere le donne da un qualsiasi ruolo funzionale (e quindi è un vero e proprio dovere sociale quello di non discriminarle sotto alcun profilo), ma dall’altra che proprio per questo abbiamo perso, oggi, ogni capacità di percepire, identificare, nominare la specificità del maschile e quella del femminile (e c’è chi vorrebbe che fosse così perfino nelle dinamiche sessuali e procreative!). È impossibile non avvedersi che l’unico spazio residuale del sesso oggi è quello iconografico, palesemente proiettato nell’immaginario.Chi è in grado di capire ha già capito. Bravissimo Renzi a puntare sul rispetto delle quote rosa (siamo tutti con lui): è un segnale, questo, che andava dato. Ancora più bravi, però, tutti coloro che sapranno dare a questo segnale il suo giusto valore, che non è né quello (pessimistico) di una cortina di fumo, né quello (ottimistico) di un passo avanti decisivo della prassi politica nazionale, ma quello, né ottimistico, né pessimistico, di un’ulteriore sottolineatura di una crisi antropologica, nella quale – ahimè! – la cultura occidentale è immersa e da cui non ha ancora idea di quando e come uscire.
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