sabato 27 ottobre 2018
Ci opporremo alla volontà di morte che serpeggia in tanti ambienti. L’aiuto al suicidio di Dj Fabo c’è stato: la Corte doveva ribadire un principio che attraversa la Costituzione
Suicidio assistito: piaccia o non piaccia, leggi e princìpi ci sono
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Caro direttore,
sono rimasta davvero molto sorpresa per la decisione assunta dai giudici della Corte Costituzionale in merito alla complessa vicenda che vede Marco Cappato accusato di aver accompagnato e in qualche modo sostenuto Dj Fabo nel suo lungo viaggio verso la morte. Il suo reato si configura come "suicidio assistito", articolo 580 del Codice penale, tuttora in vigore. I fatti sono noti alla gran maggioranza dell’opinione pubblica italiana, perché lo scorso anno la storia di Dj Fabo è stata su tutti i giornali e i telegiornali per molte settimane. Ha fatto da cornice con una costante ed elevata densità emotiva a tutto il dibattito sulla legge sul fine vita approvata alla fine del 2017 e diventata operativa nel gennaio 2018. La legge sul fine vita c’è, che piaccia o non piaccia, e a me piace davvero poco, ma c’è. E la storia di Dj Fabo, durante il dibattito in Commissione e in Aula, ha rappresentato un costante richiamo a non perdere di vita la nostra capacità di comprensione e di condivisione, la nostra sensibilità e la nostra capacità di riflettere su valori e diritti, che compongono la dimensione umana in cui ognuno di noi si muove, vive e risponde alle sollecitazioni degli altri.

La legge è passata in un Parlamento a forte maggioranza Pd grazie a una inedita alleanza con il M5S. Per quasi tutti la parola impronunciabile era "eutanasia". Anche se per molti l’ambizione, anche apertamente dichiarata, era quella di giungere a una legge avanzata proprio sull’eutanasia, pure per i minori. All’opposizione un piccolo gruppo di parlamentari, appartenenti a diversi schieramenti. Le parole chiave del testo: libertà e autonomia, diritto alla vita e diritto all’autodeterminazione; relazione di cura e dignità umana, hanno assunto significati molto diversi, fino a giungere a interpretazioni estreme che legittimavano significati contrari tra di loro, che hanno ovviamente generato voti diversi. E il termine eutanasia si è caricato di significati contraddittori, tra chi lo vedeva come una liberazione e chi invece lo considerava un attacco irreversibile al diritto alla vita. Su questa linea di confine si sono confrontate infatti una visione del mondo, della malattia e della sofferenza disposta a fare della solidarietà il senso stesso del nostro vivere per qualcuno e per qualcosa e una visione diversa, impegnata a garantire il diritto al rifiuto di tutte le cure, inclusa nutrizione e idratazione, perché la libertà dell’uomo possa giungere fino all’estremo di rinunciare a sé stessa, di rinunciare a vivere. Noi centristi abbiamo cercato di difendere, durante il dibattito parlamentare, sia la dignità del malato e il suo diritto ad essere curato, sia la dignità del medico e il suo dovere di curare.

Oggi la Consulta chiede al Parlamento di tornare su questa legge per ragionare sull’articolo 580 e valutare se e come consentire al malato di accelerare la sua stessa morte. Se questo accadesse, il suicidio assistito diventerebbe il paradigma di una amicizia che facilita la soppressione della vita dell’amico, perché non soffra più, perché non si senta solo, perché non pensi di essere di peso. Davanti a un problema che non so risolvere, l’unica soluzione possibile diventa eliminare il problema, con una decisa affermazione della volontà di morte sulla volontà di vivere.

La soppressione del malato è il segno tangibile di una scienza che non sa curare, che non sa eliminare il dolore e, quindi, elimina il paziente. E l’amicizia, che da sempre si sostanzia per una condivisione attiva e proattiva, si trasforma in un abbraccio mortale, poiché non so come aiutarti a vivere allora ti aiuto a morire. Il paradosso estremo dell’amico che fa sparire l’amico malato: perché non soffra.

Il giudizio della Corte Costituzionale è stata sollecitata dal Tribunale di Milano a pronunziarsi sulla incostituzionalità dell’articolo 580, per poter liberare Cappato dall’accusa che pendeva su di lui. E la Corte ha rimesso il giudizio al Parlamento. Senza tener conto che sul tema c’era appena stato un dibattito per altro molto acceso, in cui si era tollerata una sorta di eutanasia passiva con l’assimilazione della nutrizione e idratazione a trattamenti di cura, ma si era ribadita la volontà di un no secco all’eutanasia attiva e al suicidio assistito. Evidentemente a qualcuno ciò non basta.

Ci opporremo a questa volontà di morte che serpeggia in tanti ambienti. L’aiuto al suicidio di Dj Fabo c’è stato ed è stato significativo: la Corte doveva ribadire un principio che attraversa tutta la nostra Costituzione.
* senatrice Udc

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