sabato 27 aprile 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
Scontenti, o quantomeno preoccupati del poco tempo che dedicano ai figli. Così si dichiarano i padri d’oltreoceano secondo la recente e importante pubblicazione del Pew Research Center, il centro americano di ricerca indipendente sulle attitudini sociali e i trend demografici negli Stati Uniti e nel mondo. Se confrontiamo i dati del 1965 con quelli del 2011, scopriamo che in quasi mezzo secolo i padri che si occupano della cura dei figli e della casa sono in realtà triplicati. Eppure quasi la metà dei nuovi padri è scontento e ritiene di passare troppo poco tempo con i propri figli (rispetto a un quarto delle madri), mentre un terzo non si sente di fare un buon lavoro coi figli. Madri e padri sono allineati invece per quanto riguarda il sentirsi sempre in affanno e di corsa, metà di loro afferma così. Lo studio, accurato ed esteso come campione, sembra riproporre una questione annosa, quella della quantità del tempo dedicato dai genitori ai figli. Al riguardo abbiamo sentito tutto e il contrario di tutto. Abbiamo sentito che il tempo è fondamentale, ma anche che non basta. Abbiamo sentito raccontarci il concetto di tempo-qualità, quello che ci consola dicendo che va bene se stiamo poco con i figli purché quel poco sia buono. Tuttavia siamo ancora lì, non ne veniamo fuori, e soprattutto pare aumentino l’insoddisfazione e la preoccupazione. Ma di cosa ha bisogno un figlio? Sta in questa risposta la possibilità di risolvere la questione. Un figlio ha innanzitutto bisogno di sentirsi 'erede', non di essere accudito o monitorato o accompagnato a calcio o pattinaggio per non stancarsi troppo. E un padre può lasciare in eredità solo ciò che possiede, certamente non quello che non è suo. Lascia ciò che possiede di materiale, come i beni guadagnati e conquistati o a sua volta ereditati e messi a disposizione da subito, ma anche l’immaterialità – seppur così concreta e sperimentabile ogni giorno – del suo star bene nel reale, del suo saper approfittare delle occasioni che gli si aprono per essere felice.Non basta mettere al mondo un figlio per essere padri, questo lo fanno anche i cagnolini, e neanche passare del tempo con loro; bisogna curare che il figlio al mondo ci stia bene, che sia attrezzato col suo giudizio per far fruttare in proprio e non sperperare l’eredità ricevuta. C’è bisogno, ad esempio, di un padre che non sia sempre in prestito, al lavoro preoccupato di non essere a casa e a casa preoccupato di lasciare indietro il lavoro. C’è bisogno di un padre che sia appassionato della sua vita, che abbia gusto del lavoro e della vacanza, del mangiare e del dormire, della sua donna e dei suoi amici.Educare un erede significa abilitarlo a trattare con profitto ciò che riceve per mezzo degli altri, considerarlo un soggetto che in prima persona sappia far fruttare il capitale che riceve. Essere padre non coincide necessariamente col fare il tassista o il domestico: accompagnare alla partita e caricare la lavastoviglie possono infatti essere atti amorevoli al servizio del rapporto o faccende dovute su cui recriminare in seguito.Questo lavoro educativo, per nulla affannoso, che altro non è che la trasmissione del modo con cui trattiamo il reale e il conferimento di facoltà al figlio, non può certo essere fatto solo via Skype o per email; richiede in effetti del tempo. Non è però il tempo del puro accudimento, spesso concitato e frettoloso, ma il tempo del piacere del rapporto, del trovare qualcosa che accomuni, ed anche del sentirsi insieme magari mentre leggiamo due libri diversi. I figli ci guardano e noi suggeriamo sempre, in ogni istante, forme di trattamento del reale. Quali forme trasmettiamo fa la differenza.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: