Ora un patto di svolta
venerdì 4 maggio 2018

Cosa aggiungono le proiezioni statistiche diffuse ieri dall’Istat sull’invecchiamento della popolazione rispetto a quanto già emerso negli ultimi mesi? Quasi nulla. Conosciamo nel dettaglio gli effetti devastanti connessi alla cosiddetta bomba demografica. Tra pochi decine di anni, se non ci saranno segnali per un’inversione di tendenza, l’Italia non sarà più in grado di sostenere il sistema pensionistico, quello sanitario e quello assistenziale. Non andranno in crisi soltanto le strutture portanti del welfare, ma anche il patto tra le generazioni. Cosa succederà quando un numero sempre più esiguo di persone in età lavorativa non riuscirà più a sostenere un numero di anziani dieci volte superiore all’attuale? Finiremo per decuplicare anche il numero delle badanti? Ma chi potrà sostenerne i costi? Domande, evidentemente senza risposta. Abbiamo più volte ribadito che il tempo è scaduto e che un Paese senza figli sembra destinato al collasso sociale. Sembra? Potrebbe apparire senza fondamento la pretesa di cogliere comunque uno spiraglio di luce, di lasciar trasparire una spes contra spem al di là delle evidenze dei numeri. Ma vogliamo comunque alzare lo sguardo oltre la logica dell’emergenza, oltre la sordità delle politica, oltre le previsioni catastrofiche, perché c’è un’Italia che non si rassegna al declino. Un’Italia che continua ad avere fiducia nella famiglia, nella bellezza e nella verità di un amore che costruisce futuro e che alimenta speranza per sé e per gli altri.

Magari si tratta di una famiglia che non risponde del tutto ai nostri riferimenti ideali. Forse è solo un progetto, una speranza di vita familiare.

Oppure è il risultato di una ricomposizione faticosa, in cui le ferite ancora aperte non consentono saldature 'ortodosse'. Ma queste realtà, anche se ancora non riescono a incidere sulle statistiche, esistono e vanno aiutate. Per sostenere queste famiglie, ma anche tutti coloro che hanno deciso di reagire alla logica improduttiva e demoralizzante del pessimismo e dei lamenti, sappiamo cosa servirebbe. Se le analisi non sono più un mistero, non lo sono neppure le strategie che potrebbero incidere in una crisi così radicata. L’elenco è noto, ma vale la pena ricordarlo.

Servono politiche strutturali per razionalizzare gli strumenti di sostegno già esistenti e che comunque si sono rivelati insufficienti, servono investimenti per la prima infanzia, servono iniziative per l’edilizia popolare, servono scelte coraggiose per il lavoro ai giovani, serve un fisco davvero amico della famiglia. L’elenco dei sogni? No, senza clamori, senza suscitare curiosità mediatiche, cresce nel nostro Paese una silenziosa rete capace di costruire famiglia. Tante le declinazioni. Ci sono per esempio gli oltre cento Comuni 'amici della famiglia', coraggiosi nel varare provvedimenti locali, di tipo tariffario, ma non solo, comunque incentivanti per la natalità e la stabilità familiare. E, infatti, là dove queste esperienze si sono consolidate, anche le condizioni delle famiglie fanno registrare parametri decisamente in controtendenza. Esistono centinaia di aziende convinte che il welfare familiare non sia un peso per i bilanci, ma un valore aggiunto destinato a tracciare profili favorevoli anche per il futuro dell’impresa. Non sarà un caso che realtà importanti come Enel, Tim, Nestlé ma anche tante aziende medio-piccole, abbiano aderito al sistema di certificazione 'Family audit' – prodotto di quella fucina di buone prassi familiari che è la Provincia di Trento – che traduce in punti concreti la conciliazione famiglia-lavoro e dimostra come tra equilibri familiari e successi aziendali esista un nesso diretto. Anche promuovere questi modelli è importante per diffondere una nuova cultura familiare 'dal basso', capace di incidere con la logica dei piccoli passi nel senso di depressione da cui si potrebbe rimanere invischiati.

La Chiesa ha deciso, a sua volta, di scrollarsi di dosso questa cappa di negatività. L’altro ieri si è chiuso ad Assisi il più importante appuntamento annuale organizzato dall’Ufficio famiglia Cei. Non si è parlato di crisi, non c’è stato spazio per i soliti atteggiamenti da 'cittadella assediata', per la difesa a oltranza dei baluardi etici tipo ultima linea sul Piave. Ma, sull’onda di Amoris laetitia, è stato messo in luce come l’alleanza d’amore tra uomo e donna dischiude comunque «strade di felicità», perché nonostante i numeri più esigui, le disgregazioni più vaste, le tante situazioni di incertezza e di preoccupazione, la famiglia deve e può rappresentare comunque un elemento positivo, un punto fermo da cui ripartire. Ignorare il positivo per concentrarsi solo sui mali familiari, non solo è pedagogicamente perdente, ma non aiuta a cogliere il bene esistente in queste proiezioni familiari che sembrano solo piccoli raggi dentro un temporale infinito. Invece il cambio di registro è indispensabile.

In attesa che una politica sconclusionata e autoreferenziale prenda atto che non ci sono più alibi per sottrarsi ai bisogni reali del Paese, cominciando a tener fede alle promesse pre-elettorali proprio con misure strutturali per affrontare l’inverno demo-grafico, tutti coloro che hanno a cuore le sorti della famiglia come risorsa fondamentale e determinante, dovrebbero adoperarsi per un nuovo patto destinato a far fruttare i semi di bene che le famiglie comunque rappresentano e producono.

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