martedì 17 settembre 2013
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​Metafora pressoché perfetta di un Paese da raddrizzare e rimettere in linea di galleggiamento, il recupero della "Costa Concordia" offre in queste ore numerosi e istruttivi spunti di riflessione per gli italiani, a cominciare da chi li rappresenta nelle istituzioni e da chi li guida. La lenta e meticolosa operazione condotta dalla Protezione Civile sul gigante accasciato a pochi metri dagli scogli del Giglio, che tutti ci auguriamo si concluda con pieno successo, consente anzitutto di rievocare con scrupolo quanto accadde il 13 gennaio dell’anno scorso. Perché questo è il primo, fondamentale, evento-simbolo attorno al quale è opportuno fermarsi a fare memoria: la gravità dei disastri che si possono causare per presunzione e superficialità, per mancanza di umiltà e di preveggenza.Ed è quasi immediato il collegamento con decennali pratiche di governo all’insegna dell’improvvisazione e della ricerca di facili consensi, incuranti delle conseguenze inflitte a un sistema fragile, che tuttora rischia il naufragio finale. Si pensi solo alla spesa pubblica "facile" e sistematicamente finanziata in deficit, che fu avviata negli anni 70 del Novecento e che non ha quasi mai conosciuto soste: una sequenza di "inchini" incoscienti alle richieste delle più disparate categorie politicamente "forti", capaci di battere i pugni sul tavolo a discapito dei reali bisogni di chi invece poteva garantire l’equilibrio di lungo periodo del sistema produttivo e sociale (a cominciare – vedi risultanze della Settimana sociale di Torino – dalle famiglie con figli).Altrettanto illuminante è però l’immagine che le centinaia di tecnici ed esperti affaccendati attorno al relitto stanno dando ai nostri concittadini e al mondo intero. È un lavoro di squadra tanto serio quanto audace, condotto con accuratezza e senza neppure indulgere troppo all’autocompiacimento, anche se le esigenze dell’informazione-spettacolo impongono di pagare dei prezzi di sovraesposizione di cui magari qualcuno dei protagonisti vorrebbe fare a meno. Un lavoro che suscita un istintivo moto di ammirazione e di orgoglio, ma in qualche modo pure di rammarico. Orgoglio per quanto il genio tricolore dimostra ancora una volta di saper produrre, riscattando anche a livello internazionale l’«immagine di un’Italia cialtrona», come con felice sintesi ha sottolineato ieri il capitano De Falco, l’anti-Schettino di quella drammatica notte. Al tempo stesso, però, rammarico per la facilità con cui sempre più spesso questo capitale di inventiva e di abnegazione viene dilapidato o sacrificato alla difesa di interessi consolidati, lobby o burocrazie paralizzanti.Ma l’analogia che appare più significativa tra l’impresa in corso nell’arcipelago toscano e quella che l’intera Penisola deve fronteggiare riguarda forse, più che il passato o il presente immediato, il prossimo futuro. Secondo il programma di recupero, infatti, far ruotare e riportare in linea di galleggiamento lo scafo del transatlantico sarà il primo atto di un’operazione, che se tutto andrà bene si concluderà solo a inizio estate 2014, con il traino alla destinazione finale ancora da individuare. Allo stesso modo, ci sembra, il faticoso sforzo impostato su impulso del Quirinale dal governo italiano e dalla maggioranza che, tra mille remore e tentazioni di rottura, lo sostiene, anche se riuscirà a doppiare il capo di questo turbolentissimo inizio autunno, avrà soltanto posto le premesse per rimettere in navigazione il vascello italico.È necessario dunque che vecchi e nuovi tifosi del "voto subito", dell’ennesima e quasi certamente inutile ordalia nelle urne, si tolgano dalla testa l’illusione della spallata decisiva a loro favore. Recidere le funi dell’opera di risanamento appena avviata, compromettere la credibilità che stiamo riconquistando con tanta fatica e sacrifici, equivarrebbe a mandarci a fondo brutalmente e condannerebbe i responsabili a disputarsi il posto da primo pilota di una esausta carcassa.
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