domenica 4 agosto 2013
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Uno dei paradossi al centro del nostro sistema economico-sociale è la pacifica convivenza tra il radicale rifiuto di padroni e di controlli nella sfera politica e l’altrettanto radicale accettazione di altri padroni e controlli nelle imprese e nelle organizzazioni. Abbiamo fatto e facciamo lotte e rivoluzioni contro tiranni e dittatori, ma non appena lasciamo la piazza e varchiamo i cancelli dell’impresa deponiamo sull’attaccapanni il nostro vestito di cittadino democratico e docilmente indossiamo i panni del suddito regolato e controllato. Questo paradosso dipende in buona parte dagli equivoci attorno al termine incentivo, che sta diventando il principale strumento del culto capitalista, una parola magica che tanti invocano, e a tutti i livelli, al punto di poter parlare di una vera e propria "ideologia dell’incentivo" che sta occupando la nostra vita.
Incentivo è in realtà una parola antica. Durante il medioevo l’incentivus (da incinere, cantare e incantare) era lo strumento a fiato, il flauto in genere, al cui suono dovevano accordarsi gli strumenti e le voci del coro. Il flauto è anche lo strumento dell’incantatore di serpenti, che ammaliati da quel dolce suono, vanno docili dove il suono li conduce. L’uso dell’incentivus si è poi esteso dal flauto alla tromba che incitava e ritmava la corsa dei soldati in battaglia. L’incentivo è dunque ciò che sprona, che rende solleciti, che ci spinge ad azioni ardite, che ci incanta col suo suono e ci fa andare dove il suonatore vuole portarci. L’incentivo si presenta come un contratto libero, e per questo affascina. L’impresa capitalistica ci propone uno schema retributivo o di carriera, e noi lavoratori "liberamente" lo accettiamo. Lo scopo, come dice l’antica radice, è accordare i vari membri dell’impresa, fare cioè in modo che il comportamento del dipendente si allinei con l’obiettivo della proprietà dell’impresa, e in mancanza di questo accordo gli obiettivi e le azioni sarebbero naturalmente divergenti, discordanti e scordati.
Per capire la natura dell’ideologia dell’incentivo occorre però guardare la sua storia, che non origina dalla tradizione della scienza economica, ma nasce all’interno delle teorie scientifiche del management. Queste si svilupparono negli Usa a partire dagli anni Venti, quindi tra le due guerre mondiali e in presenza di fascismi, totalitarismi e collettivismi. Una fase di pessimismo civile e antropologico che, come per Machiavelli e Hobbes, generò una teoria basata su un’idea pessimistica e parsimoniosa della natura umana. All’inizio la logica dell’incentivo fu introdotta tra forti polemiche e discussioni etiche, che però tacquero presto. Durante la guerra fredda il controllo delle persone tramite l’incentivo apparve infatti come una forma di vaccino contro una malattia che appariva molto più grave. Controllo e pianificazione dentro le organizzazioni furono la piccola dose di veleno ingerita per proteggersi dal possibile virus mortale della pianificazione e del controllo totali del sistema illiberale che si stava affermando dall’altra parte del mondo. Così le rinunce alla libertà e all’uguaglianza dentro le imprese apparvero un male necessario per tenere in piedi il sistema capitalistico e la democrazia. Si difese la democrazia politica sacrificando quella economica. Libertà nel sociale e pianificazione nell’impresa. Oggi i sistemi collettivistici appartengono alla storia, eppure quel vaccino continua a essere iniettato nei nostri corpi, e a operare ben oltre l’ambito della grande impresa industriale per la quale era stato pensato all’inizio.
Il principale, grande e nocivo effetto collaterale dell’ideologia dell’incentivo è realizzare un regno di relazioni umane in cui non esiste più nulla che abbia un valore intrinseco, qualcosa che valga prima del calcolo costi-benefici. C’è poi un secondo elemento cruciale, che si chiama potere. L’allineamento prodotto dall’incentivo non è reciproco. La parte potente fissa gli obiettivi e disegna lo schema d’incentivo, e alla parte debole è solo chiesto di allinearsi tramite il canto magico dell’incantatore. L’incentivo è dunque offerto da chi ha potere a chi il potere non ha, per controllarne le azioni, le motivazioni, la libertà. La natura dell’incentivo è consentire la gestione unilaterale del potere, non la reciprocità tra uguali; ed è il controllo, non la libertà, la sua funzione. Il sindacato, ad esempio, non può capire molte ragioni della sua attuale crisi e non ritroverà la sua vocazione se non legge il mondo del lavoro all’interno di questa nuova ideologia.
Infine la cultura dell’incentivo riduce la complessità antropologica e spirituale della persona. La grande cultura classica sapeva che le motivazioni umane sono molte e non riconducibili a un unico metro di misura, tantomeno quello monetario. E sapeva anche che usare il denaro per motivare la gente tende nel tempo inevitabilmente a ridurre le motivazioni intrinseche, e quindi a impoverire di molto le organizzazioni, la società e le persone, che hanno un valore infinito anche perché sappiamo trovare più forme di valore nelle cose e in noi stessi. Per ben intonare le persone dentro le organizzazioni e renderle con-cordi, occorrerebbero invece molti strumenti, tra cui certamente il flauto dell’incentivo, ma solo in accordo con il violino della stima, l’oboe della philia, la viola della riconoscenza. Perché se a suonare è un solo strumento, nei luoghi del lavoro si perdono biodiversità, creatività, gratuità, eccedenza e libertà, e si finisce per tirar fuori dalle persone le note meno squillanti e melodie poco originali e tristi.
Sappiamo bene quanto nella vita quotidiana delle famiglie e della società civile sia necessaria la multidimensionalità degli incentivi e degli ancora più importanti premi (che a differenza degli incentivi riconoscono la virtù, non la creano artificialmente né la controllano). Ma commettiamo l’errore di pensare che nelle imprese gli altri valori non contino, perché troppo alti per sprecarli nel volgare mondo dell’economia. Se così fosse, non si spiegherebbe la storia e il presente di tanta economia cooperativa, sociale e civile, né l’azione di quei molti imprenditori e lavoratori italiani ed europei che, figli e figlie di un’altra cultura economica, spirituale e civile, in questi anni stanno andando avanti reagendo per istinto alla logica degli incentivi, e che ancora resistono a consulenti, banche, istituzioni, che li leggono con gli occhiali dell’ideologia dell’incentivo, e così vorrebbero curarli.
Tutti nel corso della vita abbiamo fatto scelte, dalle piccole e ordinarie a quelle decisive, andando oltre e contro la logica dell’incentivo, preferendo il meno di denaro e di carriera al di più espresso in altri valori. E lo abbiamo fatto, e in tanti continuiamo a farlo, non per eroicità ma per dignità, e per fedeltà a quella parte non-in-vendita che ci abita tutti nel profondo. Nelle pagine della vita di ogni persona e di ogni organizzazione ci sono molte parole scritte con inchiostro simpatico, che la fredda logica dell’incentivo non vede, perché servirebbe il calore degli altri registri relazionali. Ma se queste frasi restano invisibili, non siamo capaci né di raccontare che cosa accade davvero nel mondo del lavoro, né tantomeno di migliorarlo.
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