Oltre materialismo e individualismo per generare figli, e vera comunità
domenica 30 maggio 2021

Caro direttore,

dopo la ridda di polemiche (e pesanti accuse su social e altri quotidiani) sollevata dalla mia "provocazione laica" sull’aborto è forse il caso di fare qualche precisazione. Innanzitutto ci tengo a rassicurare quanti conoscono la mia storia politica e d’impegno sociale e civile. Ero in piazza per i diritti delle donne quando molte/molti di coloro che oggi reagiscono indignati alle mie parole erano a conversare sui loro comodi sofà o non erano ancora nell’età della ragione. Chi mi conosce sa bene che non rinnegherei mai la mia storia, così come non ho mai rinnegato le mie origini, di cui sono orgogliosa. Tuttavia, credo anche che la mia forza e quella della Fondazione Belisario, che guido da oltre 30 anni, sia stata quella di seguire, a volte combattere, ma comunque essere sensibile e attenta ai cambiamenti che la società – così come l’economia e la politica – hanno attraversato. Nella mia "provocazione" io non ho mai detto di buttare alle ortiche la legge 194 sull’aborto e mai potrebbe venirmi in mente di rinnegarla: è uno strumento conquistato dalle donne, me compresa.

Detto questo, vorrei chiedere a quanti mi attaccano se credono davvero che l’Italia, le donne, gli uomini del 1978 siano gli stessi di adesso… In questi giorni mi hanno scritto – con toni davvero poco piacevoli (ma sono abituata a pagare il prezzo di essere contro corrente) – che "non si abortisce per mancanza di soldi", ma anche che "si abortisce per mancanza di sicurezza economica"; che "il numero degli aborti è diminuito nel corso degli anni" e che "un aborto è una tragedia per la donna che lo subisce". Sono d’accordo con tutte queste argomentazione, seppur possano apparire schizofreniche. E non ho mai e poi mai messo in dubbio che un aborto rappresenti un lutto, per una donna, ma anche per un uomo (perché troppo spesso ci si scorda di loro). Il punto è: ho voluto lanciare un sasso pesantissimo perché ci si interrogasse sui motivi per i quali non si fanno più figli… Perché si parla solo di asili nido e welfare, di occupazione "garantita" e a tempo determinato e di casa di proprietà? I figli e il loro contesto sono solo questo?

Nella nostra modernissima Italia dei social network nessuno metterebbe mai in dubbio la 194, eppure mi piacerebbe che qualcuno mettesse in dubbio e remasse contro un modello di vita e di lavoro che ha trasformato la genitorialità in un mero costo. Vorrei che le ultime generazioni facessero il "mea culpa", ammettendo tutte le "tare" che le hanno portate a non fare figli o a cercarli troppo tardi: l’individualismo, il narcisismo, l’egoismo, l’attendismo, la paura di assumersi responsabilità. In un Paese in cui i divorzi continuano ad aumentare e i matrimoni a diminuire, dobbiamo avere il coraggio di dire che da un figlio non si divorzia e che l’impegno di genitore è quanto di più "definitivo" possa esistere e che forse è anche questo il motivo del precipitare della natalità. Quindi, facciamo asili nido, diamo sostegni alla famiglia, diamo certezze e sicurezza economica ai giovani, distribuiamo speranza nel futuro purché non riduciamo tutto a motivazioni economiche. Non auto-assolviamoci, ma lavoriamo insieme, donne e uomini, cittadini e cittadine, istituzioni e imprese, per sovvertire la cultura materialista e individualista e riaffermare una cultura della comunità, in cui un figlio è una risorsa e un patrimonio non solo per la famiglia ma per il Paese tutto.

Lella Golfo, Presidente Fondazione Marisa Bellisario

Non la pensiamo in tutto alla stessa maniera, cara presidente Golfo, ma vediamo gli stessi problemi e cerchiamo di spezzare almeno alcune delle logiche che impacciano e imprigionano il futuro del nostro Paese malato di denatalità e poca stima della vita piccola e "improduttiva". Per questo accolgo volentieri anche il suo "rilancio" dopo aver pubblicato e commentato mercoledì scorso, 26 maggio, quella che ho definito una «provocazione laica» sui «cinque anni senza aborti» ovvero l’invito a preoccuparsi di capire perché nell’Italia dell’«inverno demografico», che sta raggelando con più forza anche il terzo decennio del XXI secolo, si continuino a lasciar sole donne e coppie che ricorrono alla legge vigente per non far nascere la loro bambina o il loro bambino e si considera un’«ingerenza» lavorare per rimuovere le cause dell’aborto. E invece serve, eccome, capire. E serve agire di conseguenza. Meno male, perciò, che la sua «provocazione» ha suscitato, oltre ad aspre polemiche, anche riflessioni profonde e belle come quella di don Riccardo Mensuali ("Avvenire" del 27 maggio 2021). Vedo e prevedo, gentile amica, che però pure il suo rilancio andrà storto a più di qualcuno. Di nuovo "troppo" per alcuni e "troppo poco" per altri.

Spero di sbagliarmi. Ritengo, infatti, indispensabile impegnarsi per rompere gli schemi di un confronto che altrimenti appare senza sbocchi, mentre altrove nel mondo, come lei ha ricordato, pur in maniera non facile e non sempre coerente, si registrano passi avanti nell’accoglienza della vita umana e, nel dare supporto a madri (e padri) tentati dall’aborto. Passi avanti oggi quasi inimmaginabili in un’Italia, dove non pochi li condannano come passi indietro e sono convinti e convinte – ce lo hanno scritto! – che l’aborto sia addirittura «un diritto costituzionale». Si tratta di persone non necessariamente in mala fede, ma che evidentemente non hanno mai sbirciato la Costituzione della Repubblica, e neppure hanno davvero letto la legge 194 altrimenti saprebbe che non è "dirittista" neppure quel testo che deformazioni continue rendono peggiore (o migliore dal punto di vista abortista o, al contrario, dei difensori degli spazi di coscienza) di quel che è. La legge italiana, come anch’io ho ricordato più volte in questi anni, affronta la tragedia dell’aborto, depenalizzando la pratica a certe condizioni e stabilendo una sostanziale priorità della vita della madre su quella del figlio e questo anche per combattere la piaga dell’aborto clandestino (piaga ridotta, ma niente affatto rimarginata), e della donna lasciata in solitudine (solitudine meno forte oggi, e però riproposta da certe modalità dell’aborto chimico). Personalmente resto dell’opinione che la possibilità dell’aborto vada svuotata con libere e forti scelte di vita. Bisogna lavorare per una società umana dove l’aborto procurato finisca dimenticato, diventi un’impossibilità, come la pena di morte e come la guerra.So bene che su questi punti lei e io potremmo tenere posizioni in parte diverse e discutere a fondo, ma ascoltandoci e impegnandoci a cercare risposte utili anche alla denatalità. Come quella, "di quadro" eppure tutt’altro che solamente retorica, che lei articola nella sua conclusione, chiamando alla sovversione di certa pervasiva e devastante «cultura materialista e individualista». C’è un gran lavoro da fare. Ed è importante che si riesca farlo insieme, sulla base di salde priorità condivise, con volontà generativa. Ricomincia qui la «cultura di comunità».

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