sabato 25 gennaio 2020
Si assiste a una forte decadenza della società e della vita pubblica, alla quale però si può ancora reagire. Sull’immigrazione, nuovo impegno vuol dire coniugare accoglienza e sicurezza
Oltre la volgarità dei tempi tornare a studiare la politica

Solinas

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Con un bell’articolo sul 'Corriere della Sera', sul Trattato delle piccole virtùdi Carlo Ossola, Claudio Magris ha come allargato lo sguardo sulla fase storica che stiamo vivendo, in una analisi apparentemente minimalista. Ha visto – ed è uno sguardo niente affatto nuovo per chi frequenta le colonne di 'Avvenire' – questa nostra epoca segnata da una spinta alla volgarità che investe il linguaggio quotidiano, la discussione pubblica, e ha rilanciato con il suo autorevole timbro un allarme che merita attenzione: «L’urbanità è la grande assente nel mondo in cui viviamo. La volgarità è stata completamente sdoganata, il turpiloquio è il nuovo galateo, l’insulto è la forma più diffusa del dialogo. Volgarità nelle assemblee politiche, nelle risse ai talk show televisivi, nei confronti ideologici che diventano ingiurie, non meno rozze ma meno schiette e autentiche di quelle all’osteria».

Potrebbe sembrare un piccolo manifesto delle degenerazioni che sperimentiamo tutti i giorni con inconsapevole assuefazione. Tuttavia, la sensazione che queste parole suscitano è intrisa di realismo, ci tocca così da vicino da suggerire un supplemento di riflessione (sollecitata anche ieri dall’episodio di grave antisemitismo avvenuto a Mondovì). Ricordiamo tutti l’antico adagio appreso sui banchi di scuola per il quale si esibiscono spesso pubbliche virtù per meglio praticare vizi privati, ci si dimostra saggi e buoni, per poter essere cattivi e stolti nella vita di tutti i giorni. Con un virtuosismo filosofico, che Seneca persino rivendica in una lettera a Lucilio, tutti i potenti della terra hanno sempre steso un velo d’ipocrisia sulla propria vita, magari degradata, ammantandola di pubbliche virtù e dignità per ricevere lodi e onori. Ebbene, constata da par suo Magris, anche questo velo è ormai caduto, s’è rovesciato l’adagio antico. Le virtù, per alcuni, sono rimesse nel privato, ma i vizi e l’aggressione si praticano in pubblico, senza vergogna, con ostentazione, anche perché indicano il livello di potere che s’è raggiunto. Un esito triste, avvertito a fatica, una decadenza della nostra società e della nostra politica, al quale però si può reagire.

C'è una piccola spia di questo rovesciamento di valori in un giudizio prevalso acriticamente sul fenomeno delle Sardine, di quei giovani che si sono fatti sentire negli ultimi mesi, ai quali s’è rimproverato di opporsi innaturalmente all’opposizione, mentre tutti i movimenti dovrebbero contestare le forze che governano e sono maggioranza parlamentare. La realtà è tutta all’opposto, per genesi e per sostanza politica, perché le Sardine sono nate poche settimane dopo che le forze sovraniste e populiste hanno governato l’Italia per oltre un anno, esibendo il peggio di sé, offendendo tutto e tutti, facendosi padroni dei media in modo sfacciato, predicando disprezzo per i diversi, sbeffeggiandoli, e lo hanno fatto dai posti del Governo e del potere, causando così una legittima e fondata paura di poter cadere ancora più in basso. Questa la genesi di un movimento che ha sorpreso tante persone, e che in realtà ha voluto rivendicare le piccole/grandi virtù che abbiamo perso, per lasciar spazio alla sopraffazione, alla pretesa di occupare il potere senza averne legittimazione, e chiedono una politica nuova, dialogante, nutrita d’intelligenza, impegnata sui temi basilari della corretta dell’informazione, del rapporto tra i popoli, dell’accettazione degli altri. In questo senso, Magris ha suggerito un altro elemento decisivo, per il quale i leader sovranisti sono diventati, anche oltre i loro demeriti, il sintomo di una malattia più grave che sta pervadendo il nostro vivere civile. La volgarità non implica solo cattivo gusto o carenza di galateo, essa ha investito e coinvolge sempre più la vita pubblica, il governo delle istituzioni, l’atmosfera complessiva che siamo indotti a respirare, sempre più inquinata. Per questa ragione, la protesta dei giovani ha centrato il problema quando ha reclamato ad alta voce che essi vogliono rimanere sani, puliti, vivere in un orizzonte democratico, immuni dai fantasmi del razzismo o analoghe patologie. E questo elemento lascia sperare che essi continuino a svolgere il ruolo di sentinelle di una vita civile fondata sul rispetto della dignità degli altri.

Ernesto Galli Della Loggia ha ripreso il tema nella sua complessità e ha proposto di dire all’Italia e agli italiani la verità, suggerendo così altre riflessioni. La convivenza politica democratica chiede sempre una solidarietà minima che non può essere messa da parte per qualunque piccolo egoismo, ma è proprio ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi tutti i giorni. Ci sono settori politici, al centro e nella sinistra, che stanno svolgendo un ruolo importante per evitare i disastri che il populismo provoca un po’ dovunque. Esse hanno riportato serenità di azione politica ed economica, hanno cancellato dal dibattito pubblico le forme più sguaiate di propaganda e di allarmismo. Con lo sguardo al futuro, però, sappiamo che occorre chiedere di più. Si ha quasi la sensazione che l’obiettivo principale sia quello di gestire con equilibrio una situazione economica molto difficile, ma senza avere consapevolezza che la nostra è una società da ricostruire, anche perché presa da uno spaesamento che provoca disaffezione, che disorienta. In questa incertezza d’orizzonte s’avverte sempre più la necessità di tornare a 'studiare la politica'. Prendiamo il tema dell’immigrazione. Studiare la politica vuol dire coniugare accoglienza e sicurezza, valorizzando la grande tradizione di solidarietà che è propria del nostro Paese, e rafforzando accordi europei e internazionali per governare un fenomeno che tutti riconoscono come epocale.

Davvero non dovrebbe essere impossibile raggiungere un traguardo del genere, per un popolo come quello italiano che, osservava nel 1877 Fëdor Dostoevskij, «si sente depositario di un’idea universale, e chi non sa lo intuisce», mentre per V. S. Solov’ëv, alla nazione italiana ha sempre interessato soprattutto ciò «che avrebbe potuto dar loro un certo valore agli occhi degli altri, quello che avrebbe conferito loro un significato universale». Valorizzare questo spirito dialogante con i popoli toglierebbe una delle armi più insidiose che i sovranisti brandiscono in ogni parte del mondo con spietatezza, mentre uno dei nostri caratteri più radicati darebbe anima e concretezza a scelte indispensabili proprio nell’era della globalizzazione. Tutti ormai riconoscono che il magistero di papa Francesco riflette una strategia ben precisa quando insiste sulla necessità di lavorare a una progetto di pace universale, con il quale soccorrere, aiutare, integrare, quanti non hanno più patria, né terra, su cui stare, e per rendere il pianeta una casa comune per tutti i popoli; ma forse non è chiaro a tutti che la strategia del Papa si sta rivelando la più ricca e pregna di realismo politico, proprio perché fondata su un radicamento nella storia dell’uomo e delle sue conquiste, che nessuna ideologia protezionistica può vantare.

Studiare la politica vuol dire mettere al posto di ogni progetto il tema della scuola e delle nuove generazioni, abbandonato da tempo, quasi lasciato alle illusioni e alle scorribande di alcune tendenze tecnologiche (ben diverse dal progresso scientifico) e dell’ideologia relativista. Relativismo e technicality, se lasciati a sé stessi, promuovono la convinzione che ogni tassello tecnico è una conquista di sapere, che ogni corollario relativista accresce lo spazio libertario. Nel frattempo, invece, si sfilaccia il rapporto tra scuola e famiglia, s’accentua la voglia di esemplificazione e superficialità, diminuisce quella di conoscere e studiare la storia, nelle sue fatiche e nei suoi traguardi, rischiando così di perdere il senso dell’evoluzione umana e del ruolo dei suoi protagonisti.

Se guardiamo dentro la crisi del mondo della scuola, possiamo scorgere che anche le denunce prima evocate, l’involgarimento dell’informazione, la perdita di dignità nel governo delle istituzioni, sono frutto di un impoverimento umanistico che colpisce l’Italia più d’altri Paesi, anche perché più forte è la nostra tradizione di riflessione, pacatezza, lungimiranza. Infine, studiare la politica vuol dire non lasciarsi andare a discussioni e livelli che alcuni vorrebbero imporre, e dettare un nuovo registro che aiuti anche una certa destra incattivita a uscire dal buio nel quale s’è cacciata, e soprattutto contribuire a riconquistare e affascinare giovani e meno giovani per quegli ideali e quegli obiettivi che hanno segnato e reso migliore la nostra modernità. Si possono aggiungere altri tasselli a questo progetto, ma ognuno d’essi dovrebbe avere alcuni caratteri, dare risposte sagge a domande giuste, anziché cedere impulsi più o meno perversi, combattere piccoli vizi che presto si ingigantiscono, riattivare l’amore per le virtù pubbliche che ridanno dignità ai cittadini e alle istituzioni che li governano.

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