venerdì 1 settembre 2017
I dati dell'Istat sull'occupazione: una situazione da leggere in chiaroscuro, su cui pesa l’incertezza della innovazione tecnologica
La strada è lunga
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Ogni mese l’Istat rende noti i dati sull’occupazione. E ogni mese è "guerra sui numeri" per far dire loro qualcosa di positivo o di negativo, a seconda delle convenienze. Manca in generale un tentativo di superare gli slogan e leggere in profondità questi stessi dati, anche nel confronto con gli altri Paesi, per capire che cosa sta accadendo sul mercato del lavoro, che è poi la prima preoccupazione delle famiglie e delle persone.

Anche in vista delle scelte che la politica e le parti sociali dovranno compiere nella prossima legge di bilancio sarebbe dunque un buon esercizio quello di analizzarli in profondità così da cogliere le tendenze in atto. Può infatti apparire strano che aumentino sia gli occupati (di 59mila unità) sia i disoccupati (di 61mila). Questi numeri apparentemente contraddittori si chiariscono alla luce del fatto che il numero di persone inattive (coloro che non hanno un lavoro e neppure lo cercano) è diminuito di 115mila unità. Ciò significa, con le dovute approssimazioni, che una parte degli inattivi ha trovato un lavoro, e che un’altra parte ha ricominciato a cercarlo, finendo quindi nelle fila dei disoccupati. I dati mostrano quindi che la piccola ripresa economica che il nostro Paese sta vivendo contribuisce a riattivare il mercato del lavoro. Ma non è tutto così semplice, perché potrebbero esserci spiegazioni alternative, che non per forza sono negative, ma che aiutano a comprendere meglio quello che le persone poi sentono nella loro esperienza quotidiana fatta ancora di difficoltà e incertezze sul versante del lavoro.

Sappiamo infatti che dal 2012 la Riforma Fornero ha aumentato i requisiti per accedere alla pensione. Così facendo negli anni successivi centinaia di migliaia di lavoratori sono rimasti al lavoro. E se i pensionati risultano "inattivi" nelle statistiche si capisce facilmente come lo spostamento dell’età della pensione abbia comportato un calo di inattivi e un aumento di occupati. Questa spiegazione aiuta a comprendere un ulteriore elemento di cui spesso non si tiene conto, ma che coincide con un disagio sociale molto forte: il netto aumento dei disoccupati tra gli over50. Parliamo di quei lavoratori maturi che, una volta perso il lavoro, faticano a trovarne un altro, per ragioni diverse. Numero cresciuto soprattutto perché, con le nuove regole del Jobs Act, la cassa integrazione si sta esaurendo definitivamente in molte imprese in crisi.

Non si comprende quindi la presunta guerra intergenerazionale, giovani contro anziani, dipinta da molti osservatori in questi giorni. La priorità è proprio quella di accrescere l’occupazione nel suo complesso, cioè il numero di persone che lavora, se è vero come è vero che il tasso di occupazione in Italia è tra i più bassi d’Europa. Emerge poi un ulteriore elemento di analisi, mostrato da ulteriori dati dell’Inps diffusi ieri: l’aumento dei contratti a termine. La fine degli incentivi – previsti dal governo per il 2015 e, in parte, per il 2016 – ha coinciso con una rapida ripresa del lavoro a termine che ogni mese tocca un nuovo record. Si tratta di un elemento che è sintomo di dinamicità del mercato del lavoro, ma che diventa un problema laddove non è sviluppato un serio sistema di politiche attive del lavoro e di interventi formativi in grado di accompagnare il lavoratore nella transizione tra diverse fasi della sua carriera.

Una situazione da leggere in chiaroscuro quindi, con elementi positivi, ma con ancora problemi profondi. Pesa l’incertezza della innovazione tecnologica. Pesano soprattutto i grandi cambiamenti demografici che incidono sul futuro dei giovani e dei gruppi più deboli in una società che invecchia. In questo quadro, si discuterà ancora a lungo sugli effetti del Jobs Act e dei bonus occupazionali. Nel frattempo, non pochi Paesi sono impegnati in nuove ed "epocali" riforme del lavoro, da ultimo proprio ieri la Francia, che indicano con chiarezza come una legge ad hoc potrà creare del nuovo lavoro, ma se si si vuole mantenerlo ci si deve concentrare sui fattori di sviluppo e di inclusione sociale per governare i profondi cambiamenti in atto su scala globale che ancora oggi alimentano precariato e ingiustizie sociali. La strada è lunga, e va percorsa con lucidità e convinzione.

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