Occhi e parole con cui ragionare di vita generata e parlare d'aborto
mercoledì 1 giugno 2022

Caro direttore,

ho molta stima del linguaggio che lei ha scelto per parlare con noi, è raro. Ho letto la lettera sull’aborto alla quale ha replicato domenica 29 maggio su “Avvenire” («Dar battaglia per smontare le 194? Svuotiamola dal suo carico di dolore»). E mi chiedo come mai, dopo tanto tempo dalla approvazione della legge, ci sia chi discute dell’aborto ancora nello stesso modo di allora: “contro” le donne che, credo con molta sofferenza, lo scelgono. Non si guarda mai in certe lettere e in certi discorsi all’altro che costringe la donna a scelte di questo tipo e all’organizzazione sociale che abbiamo, disinteressata della cosa al punto che siamo, e non da ora, alla crisi demografica. Ma quest’altro esiste? Quell’uomo che mette la donna davanti alla prospettiva di un aborto non ha responsabilità? Responsabile è solo la donna e contro di lei, che non ce la fa, ci arrabattiamo a trovare argomenti su argomenti sempre uguali? Se deresponsabilizziamo l’uomo, preferiamo la condanna della donna. La condanna di sempre, come nella cacciata dal paradiso terrestre... Non siamo ormai abbastanza grandi per porci il problema da un altro punto di vista per chiedere anche all’uomo di rendersi conto di quello che fa quando ama una donna? Io sono diventata anziana con questa libertà maschile non detta, violenta e autorizzata e credo sia ora di guardare la generazione della vita e l’aborto dalla prospettiva non responsabile del maschio nel fare l’amore. Forse potremmo venirne a capo e salvare, davvero, molti bambini, magari non voluti ma infine felicemente accettati... Basta magari che l’uomo nella vita di coppia come nella politica capisca la sua responsabilità e non la deleghi, per poi scandalizzarsi della “cattiveria” femminile. Mi scusi il linguaggio crudo, ma sono tanti anni che attendo un cambio di sguardo, e la cosa mi fa male. Sono una madre lieta di esserlo.

Clelia Mori


Rispetto il suo dolore di donna per visioni e linguaggi che continuano a emergere, gentile signora Mori, e apprezzo la sua schiettezza sulle cause dell’aborto e prima ancora a proposito della giusta relazione tra donne e uomini e i figli che hanno la possibilità di concepire. Penso, anzi, che avrebbe potuto essere anche più cruda, perché ci sono uomini, lo dico con dolore di uomo, che portano per intero la responsabilità di troppi aborti: suggeriti e imposti in diversi modi e con diversi tipi di lancinante assenza o di mortificante presenza. Ma credo pure, e so, che tanti uomini sanno stare accanto alle loro donne e sanno essere sposi (letteralmente coloro che hanno fatto una promessa, e la mantengono) e padri. Vorrei dire che questo accade più di ieri, ma non ne sono certo. Posso però dire che dove la responsabilità s’accompagna all’allegria e alla libertà (ovvero all’assenza di costrizione e di abuso) fiorisce la vita, quella della donna e dell’uomo e quella delle creature che insieme possono generare. Si dovrebbe sempre mettere al mondo per amore (o, se vuole per accoglienza, per reciproco affidamento) e per speranza (anche di sopravvivere al proprio limite, e per continuare la storia che si è e da cui si proviene) e mai per dovere. Può accadere in altri modi, lo sappiamo, anche casuali o non interamente voluti. Ma ogni vita è comunque preziosa, perché le nostre vite sono piene di accidenti ma nessuna persona è mai solo un incidente. Credo che lei sia stata e sia una buona madre, e se ha figli maschi sono certo che ha insegnato loro a stare alla stessa altezza delle donne.

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