venerdì 17 dicembre 2010
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«Intorno al mese di dicembre del 1910 le caratteristiche dell’umanità cambiarono»: a distanza di un secolo, queste parole della scrittrice inglese Virginia Woolf sono di grande attualità, anzi acquistano un rilievo tutt’affatto speciale grazie alla crescente ibridazione tra uomo e computer.È ormai evidente che uomo e computer sono le due componenti, una biologica l’altra artificiale, di un vero e proprio "simbionte" ciborganico. Siamo in presenza di un homo technologicus, una unità evolutiva nuova, almeno sotto il profilo cognitivo e comunicativo. Se è vero che l’uomo costruisce gli strumenti tecnici, è vero anche che questi strumenti retroagiscono su di noi modificando le nostre caratteristiche, facendo emergere capacità nuove, a volte insospettate, e attenuando o sopprimendo altre abilità. Non solo l’uomo, o almeno la sua mente, si modifica grazie a questo stretto connubio con la macchina: anche il computer modifica la gamma delle sue prestazioni e si offre ad usi nuovi.Come indica il nome, il computer (o calcolatore) nacque come macchina da calcolo, poi fu impiegato nel controllo di impianti e nella gestione di grandi basi di dati. Oggi l’impetuoso sviluppo delle reti (in primo luogo Internet) dimostra che la vera vocazione dei computer è il collegamento interattivo tra gli individui, i quali sempre più fungono da nodi della grande ragnatela di comunicazione che si sta estendendo su tutto il pianeta. In questa direzione si sta manifestando l’enorme influenza delle "reti sociali": non per nulla Mark E. Zuckerberg, il ventiseienne fondatore e responsabile di Facebook, indicato dalla rivista Time come l’uomo dell’anno (anzi la persona dell’anno, per via dell’inimitabile ipercorrettezza americana), è stato definito "the connector", il collegatore.Questa fusione sempre più intima ed estesa (oggi Facebook costituisce il tessuto connettivo di 550 milioni di utenti, quasi un decimo della popolazione mondiale) di uomini e macchine all’insegna della comunicazione configura un’estensione, un rafforzamento e un’accelerazione operativa di quella che Pierre Lévy nel 1996 chiamò «intelligenza collettiva», cioè l’intelligenza dell’umanità, che trascende quella di ciascun individuo e per certi versi la supera in potenza. In realtà, grazie alla comunicazione linguistica, prima orale e poi scritta, la specie umana ha sempre manifestato un’intelligenza di tipo superindividuale, come del resto anche alcuni insetti sociali, per esempio le api e le formiche.Ma l’avvento del computer e delle reti ha potenziato il fenomeno e autorizza a parlare addirittura di «intelligenza connettiva». Sta prendendo corpo, con il supporto di una tecnologia flessibile, onnipresente e pochissimo costosa, la grandiosa visione di Pierre Teilhard de Chardin, il quale nel libro Le phénomène humain, pubblicato nel 1955, poco prima della sua morte, aveva preconizzato la fusione di tutte le intelligenze degli uomini in una Noosfera. Il termine Noosfera, mutuato da Vladimir Varnadsky, indica in Teilhard de Chardin una sorta di coscienza collettiva che scaturisce dall’interazione cognitiva tra le singole menti umane. Al crescere della complessità e dell’integrazione dell’umanità, oggi tanto favorita dalla tecnologia, cresce la consapevolezza della Noosfera, che culminerà nel Punto Omega, cioè il Logos cristiano. Nel 1955 Internet ancora non esisteva, ma non si può sfuggire all’impressione che il gesuita francese ne avesse intuito il prossimo avvento.
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