sabato 1 settembre 2012
COMMENTA E CONDIVIDI
​I dati diffusi ieri, con il nuovo record di disoccupazione giovanile, confermano che le difficoltà sul piano economico e lavorativo sono persistenti e difficilmente saranno superate in tempi brevi e senza un approccio complessivo nuovo. Infatti – se non fosse ancora chiaro a tutti – nuova è la fase storica che sul piano economico e sociale abbiamo iniziato a vivere.In questo contesto diventa necessario adeguare i comportamenti, le modalità organizzative e naturalmente le norme ai nuovi scenari. Su questo fronte il governo italiano (anche per rispondere a precisi dettati europei) è impegnato nella messa in atto di variegate riforme, alcune delle quali già definite sul piano dell’impianto legislativo. La riforma del mercato del lavoro, in particolare, è stata oggetto nei giorni scorsi di una sorta di tiro al bersaglio, con critiche aspre e finanche proposte di ammorbidire il dettato normativo o quantomeno di rimandarne la piena attuazione. Anche le Agenzie per il Lavoro non hanno mancato di esprimere le proprie considerazioni e talvolta il proprio disappunto per alcune modifiche legislative (per esempio, per il taglio di risorse destinate alla formazione degli "interinali" per indirizzarle verso il finanziamento dell’Aspi). Va, tuttavia, riconosciuto che, nonostante il ridimensionamento degli obiettivi iniziali, la riforma del lavoro introduce alcune novità da cui possono scaturire effetti positivi. Occorreranno senz’altro correttivi, integrazioni, interpretazioni (su questo aspetto – invero – una maggiore "chiarezza" a monte sarebbe stata quanto mai opportuna). Si fissa, però, un confine netto rispetto a un paradosso legislativo che per anni è stato presente nel nostro ordinamento e tanti danni ha determinato sulla qualità del mercato del lavoro e sulle garanzie per chi cerca una occupazione. La riforma, infatti, parte da un presupposto che Assolavoro condivide: il lavoro flessibile non può contemporaneamente essere quello meno retribuito e più conveniente sul piano economico per il datore. Era così per le finte partite Iva, per l’abuso delle associazioni in partecipazione, per tante collaborazioni.La "stretta" sulla flessibilità malata (come la garanzia di un minimo per la retribuzione) quindi, non può che essere la benvenuta, per tutti. I timori che da qui si determini il rischio di un massiccio ricorso a licenziamenti o a forme di lavoro nero sono sensati, ma non possono essere lo spauracchio per ammorbidire una riforma già profondamente allentata. Va, al contrario, tenuta la barra dritta e favorito un ricorso ancora più diffuso alla flessibilità sana, in linea con quanto accade nei Paesi più avanzati dell’Unione Europea. La somministrazione – come viene ampiamente riconosciuto sia dalle imprese, sia dai sindacati – è l’unica forma di flessibilità che coniuga l’esigenza del lavoratore di avere diritti, tutele e retribuzione al pari di chi lavora alle dirette dipendenze dell’azienda, con l’esigenza di flessibilità del mercato. È anche l’unica forma di flessibilità che prevede un corposo finanziamento di percorsi formativi finalizzati a precise occasioni di lavoro, con un obbligo di placement che rappresenta un ulteriore valore aggiunto. Per questa ragione è senz’altro necessario correggere il tiro laddove occorra (un rischio poco valutato, per esempio, è quello che si passi da finte partite Iva a finte società a un euro, con buona pace anche per l’eventuale riconoscimento di rapporti di subordinazione in sede giurisdizionale). Contemporaneamente occorre non abbassare la guardia e investire sulla leva essenziale per il lavoro e lo sviluppo: la formazione. Il rilancio dell’apprendistato, con il coinvolgimento delle Agenzie, rappresenta un ulteriore tassello nella giusta direzione.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: