Non è un anticipo di paradiso, ma la famiglie tornino a sognare
venerdì 11 maggio 2018

Cosa dicono le vaste famiglie di Nomadelfia – con le braccia e il cuore allargati a tempo indeterminato in un’accoglienza senza confini – alle famiglie ordinarie delle nostre città, quelle costrette al minimalismo dell’impegno per limiti obiettivi di tempo, di aiuti, di soldi, di logistica abitativa? Che rapporto si può cogliere tra quei nuclei familiari sorridenti che ieri hanno fatto corona intorno al Papa come gli occhi scintillanti dei loro sette, otto, dieci figli, tanti naturali, altrettanti in affido o in adozione, e quelli della porta accanto, interpreti spesso obbligati della filosofia del figlio unico?

E là, insieme alla schiera colorata dei piccoli, anche tanti anziani, presenza abituale di un profilo familiare che, proprio nel passaggio delle generazioni, trova il senso delle radici e la speranza del futuro. Non che le grandi e scombinate 'famiglione' di Nomadelfia siano strutturalmente migliori dei nuclei minimal che rappresentano ormai la maggioranza schiacciante della realtà e delle statistiche. Non si tratta di stabilire graduatorie etiche. Anche perché l’obiettivo di avere 'almeno' due figli rappresenta l’aspirazione di un numero importante di giovani coppie che poi però, nell'impatto con una quotidianità che sbriciola affetti e progetti, finisce per rassegnarsi al profilo ormai perdente che ha congelato nel nostro Paese con l’inverno demografico.

C’è però qualcosa che non torna nel rapporto tra quelle robuste articolazioni familiari di cui ieri l’incontro con papa Francesco ha fatto emergere vitalità e progettualità, e la situazione delle tante famiglie costrette a rimandare sine die auspici di generosità generativa e di accoglienza solidale. C’è quasi un rovesciamento semantico che ha trasformato il modello Nomadelfia in qualcosa di eccezionale. Mentre troppe famiglie mononucleari e senza figli, quasi sempre perché senza aiuti, senza reti parentali, senza possibilità di abbattere la fitta ragnatela di condizionamenti anche culturali, sono diventate normalità. E dovrebbe essere esattamente il contrario. La famiglia 'normale e diffusa', quella beneficamente segnata e arricchita dalla presenza di figli e di anziani, quella disponibile ad aprire le porte di casa a situazioni di bisogno e di fragilità, quella che può contare in una logica di reciprocità sul sostegno costante di sostegni amicali e parentali, dovrebbe proprio avere un profilo simile a quello dei 'nomadelfi' oppure di altre realtà che si muovono lungo gli stessi percorsi, come alcuni gruppi di Famiglie nuove dei Focolari o delle comunità di Mondo famiglia fondate da Bruno Volpi.

Ma per queste esperienze di comunità familiari riusciamo a malapena a comporre una mappa che, da Nord a Sud, non supera la cinquantina di esempi. In queste realtà si rinuncia a qualcosa in termini di libertà di movimento e di quella che oggi potremmo definire privacy, si decide spesso di mettere i beni in comune, si prendono scelte condivise e si vive di genitorialità allargata, di scambi solidali, di logiche permanenti di mutuo-aiuto, di responsabilità effettivamente compartecipate che rendono più semplice e più serena – pur nelle difficoltà che comunque non mancano neppure a quelle latitudini – la vita di tutti i giorni.

E, quando ne scopriamo la presenza e ne mettiamo in luce le caratteristiche, ci scopriamo ammirati e anche un po’ invidiosi per come tutto lì riesca ad incanalarsi in quei percorsi di condivisione già descritti negli Atti degli apostoli a proposito delle prime comunità: «Tutti i credenti vivevano insieme e mettevano in comune tutto quello che possedevano». Non si tratta di coltivare auspici fuori dal tempo, né di pensare che esistano mondi paralleli dove tutto scorre nella perfetta letizia. Né Nomadelfia né le altre comunità familiari sono un anticipo di Paradiso. Ma se, quanto tentiamo di individuare condizioni più favorevoli al 'far famiglia', siamo costretti a ricorrere a modelli ormai eccezionali come quelli inventati da don Zeno, significa proprio che il nostro faticoso 'ordinario familiare' ha urgenza di tornare a sognare e di ridefinirsi secondo prospettive più umane e più autentiche.

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