mercoledì 3 giugno 2015
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Il costituente italiano, chiamando la famiglia una «società naturale», sarebbe stato lungimirante, perché così avrebbe rinunziato a definirla, affidandosi allo spirito del tempo. Corollario: oggi per famiglia si intende anche quella costituita da persone dello stesso sesso, quindi... Questo tentativo di svuotare e rimodulare il dettato perentorio dell’articolo 29 della Costituzione, che costituisce oggettivamente un ostacolo al riconoscimento delle nozze gay, è stato recentemente avanzato sulle colonne del "Corriere della Sera" con una certa imprudenza. È ciò per almeno due ragioni.La prima ragione attiene al diritto. La nostra Costituzione, come quella tedesca, prodotta subito dopo la fine della guerra, ha un impianto chiaramente giusnaturalistico. Certamente vi è chi, oggi, nega questa evidenza; ma le cose stanno proprio così. Il tramonto del fascismo e del nazismo mostrarono al mondo, ma prima ancora ai giuristi che ne erano stati artefici, di che lacrime e di che sangue grondassero le grandi costruzioni giuridiche edificate dalle dittature grazie alle orge del positivismo giuridico; cioè svelarono come si fosse potuto giungere ad aberrazioni grazie a un modo di intendere il diritto solo come diritto positivo, come legge, quindi come volontà del più forte che si espande senza limiti.Reagendo a tale cultura, che aveva portato a drammi come quelli della legislazione razziale, la Costituzione italiana – così come quella tedesca – volle ancorare il legislatore positivo, limitandone il potere, al diritto naturale, vale a dire alla ragione sottostante alla realtà delle cose. Ecco quindi l’art. 2, per il quale, come noto, i diritti fondamentali non sono dati dallo Stato, ma sono a lui preesistenti, sono insiti nella dignità della persona umana, sicché sono eguali sempre, dappertutto e per tutti. Ciascuno di noi è portatore di tali diritti e davanti a essi il legislatore positivo deve arrestarsi. Lo stesso vale per la famiglia, detta «società naturale» dall’art. 29 : espressione che non significa affatto rinuncia a dare una definizione ma che, tutto al contrario, costituisce una definizione bella e buona. Chiamandola «società naturale», infatti, la Costituzione repubblicana vuole dire che la famiglia nella sua struttura profonda non è creata dallo Stato, ma che ad esso è preesistente; è sottratta alla sua volontà manipolatrice; non è soggetta neppure allo "spirito del tempo". Possono mutare nel tempo aspetti contingenti (si pensi, ad esempio, all’istituto della dote di una volta, ora scomparso), ma i caratteri fondamentali e distintivi che differenziano la famiglia da qualsiasi altra formazione sociale non possono essere modificati, pena che si finisca per chiamare famiglia qualcosa che in realtà famiglia non è.La seconda ragione è di carattere storico. La famiglia è sempre stata intesa, in qualsiasi civiltà e cultura, come la formazione  sociale fondata da persone di sesso diverso. I romani, ad esempio, parlavano della famiglia come comunità di tutta la vita tra un uomo e una donna, disciplinata dal diritto divino e dal diritto umano: il primo immutabile, delineante la struttura fondamentale dell’istituto (in sostanza quello che chiamiamo diritto naturale); il secondo corollario contingente e storicamente mutabile, che però del matrimonio non può intaccare la sostanza.Vero è che la storia ha conosciuto, nell’antica Roma e altrove, la pratica dell’omosessualità; che può averla ammessa e talora legittimata. Ma mai nella storia si sono confuse le relazioni tra persone dello stesso sesso con il matrimonio. Come mai nella storia si è pensato che i rapporti affettivi dovessero essere contrattualizzati: anche quelli matrimoniali. In effetti l’amore, come più volte è stato argomentato anche su queste colonne, sfugge a ogni misurazione giuridica e il matrimonio non è il "contratto dell’amore". Tant’è che un matrimonio senza amore può pure essere un matrimonio valido. Dunque se la natura conforma, la storia conferma.
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