giovedì 26 marzo 2015
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Saliamo sui voli low cost con maggior disinvoltura di quella con cui i nostri genitori prendevano un treno. Costano poco, vanno ovunque. Il mondo non ci è mai stato tanto fra le mani: trenta euro, e vai a Londra o a Parigi. I nostri figli salgono su questi aerei senza nemmeno, all’apparenza, quel retropensiero che prendeva noi, ai primi voli; quell’inquietudine legata allo staccarsi da terra che sotterraneamente urta, in chi non ci è abituato, la nostra natura di animali terrestri. Ma l’altra mattina a Barcellona quei liceali tedeschi, generazione low cost, saranno saliti scherzando fra loro, sereni. E se qualcuno avrà lanciato un’occhiata dentro la cabina dei piloti, al grande cruscotto costellato di pulsanti e spie, certo, si sarà detto, l’aereo è comunque il mezzo più sicuro: revisionato di continuo, monitorato da un computer di ultima generazione, i piloti addestrati a ogni emergenza. Insomma, in nessun luogo come su un aereo tutto è sotto controllo.  Non sappiamo che cosa sia successo. Ci meraviglia, di quegli otto lunghi minuti di caduta, il silenzio: che né i piloti abbiano lanciato l’allarme, né uno dei passeggeri abbia potuto o saputo inviare, come avvenne sui voli dell’11 settembre, un ultimo sms. Forse non hanno capito, forse hanno perso i sensi? Nel tempo della comunicazione continua e ossessiva, il grosso aereo è stato ingoiato dal silenzio. Lo schianto atroce fra montagne impervie. E dagli elicotteri poi hanno scorto, sulle rocce scoscese, solo frammenti di lamiera, e brandelli di poveri irriconoscibili corpi. La sera, ha scritto un cronista, grosse jeep cariche di legna si sono inerpicate per la ripida sterrata che conduce al luogo del disastro, seguite, a piedi, da cento uomini esperti della zona, armati di fucili. La legna, i fucili, per far cosa? I lupi. In quelle montagne girano branchi di lupi. E occorreva tenerli lontani dai resti delle vittime e, quindi, accendere grandi falò, come nelle notti di secoli e secoli fa; come al tempo delle caverne, il fuoco, a respingere i predatori.  Ma, quegli apparecchi straordinari, quei sensori raffinati, quei computer infallibili? L’incrocio, sulle Alpi dell’Alta Provenza, fra la nostra tecnologia perfetta e i falò contro i branchi, come in evi antichi, ci smarrisce. Quasi nell’indicibile dubbio che, in verità, non siamo padroni di niente.
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