Vecchi e giovani nel dopo-lockdown
venerdì 10 luglio 2020

E il sabato a mezzanotte, sembra tornato tutto come prima. Da Milano a Roma, al Nord Est, da Torino alla Romagna, i quartieri della movida giovanile sono di nuovo, nelle notti estive, affollatissimi, dopo il lungo silenzio del lockdown. Così affollati che spesso ti accorgi che il 'distanziamento' regolamentare è stato già dimenticato, e che la mascherina i più la portano sì, ma al braccio, come un vezzo, o un segnale d’intesa: come dire sì, l’abbiamo per contentare gli adulti, ma noi non ce ne facciamo niente, il Covid, a noi, nemmeno ci tocca. Rientrando in auto la sera a Milano vedi questi locali gremiti, rumorosi – spesso anche fino a molto tardi – e pensi che troppa è stata la paura al Nord, per poter considerare razionale il bisogno di stare vicini, vicinissimi, come se si fosse invulnerabili, il virus fosse già un fantasma svanito nelle calde notti di luglio.

E d’altra parte capisci anche quelli che hanno vent’anni e la loro voglia di vivere che, costretta per mesi come da una diga, ora sale e tracima. Una generazione di adolescenti e giovani, esodata da scuole e università e luoghi di lavoro, chiusa in casa da marzo a maggio davanti a pc diventati ormai insopportabili, non trattiene l’ansia di riprendersi i mesi di vita 'rubata'. Ma, all’opposto della movida esuberante nelle piazze, un altro sentimento pervade le stesse città, nell’estate post Covid. È quello di una parte almeno dei cittadini più anziani, che pensano ai coetanei morti, guardano alle statistiche e si sentono quasi dei sopravvissuti. E vedi per strada al mattino, quando ancora fa fresco, queste coppie di coniugi ottantenni che a passo esitante, con la mascherina fin sugli occhi e a volte anche i guanti di lattice alle mani, s’incamminano verso il supermercato, nell’ora in cui non è affollato.

O fanno la coda davanti alla farmacia, pallidi, accigliati, e a qualcuno la mano che stringe la ricetta Asl trema nel Parkinson. E non avevi mai notato, prima del Covid, questa silenziosa paura – quasi che un invisibile nemico fosse ovunque, dal panettiere, o tra le bancarelle sgargianti del mercato. Stringono il cuore questi uomini e donne con i capelli bianchi, smarriti come non li hai visti mai. E tuttavia ti colpisce lo sguardo con cui seguono un gruppo di ragazzine che passa per strada vociando, con la mascherina sotto il mento; o il piccolo manipolo che alle sette di sera riassapora l’happy hour ai tavoli dei bar all’aperto, riempiendo la via di risate. (Quanto le hai rimpiante tu quelle voci, nelle buie deserte notti di Milano). Sono però sguardi severi e anche quasi acri, quelli di alcuni anziani ai giovani, in questa estate. Ci percepisci dentro ostilità, sotto a un ampio fondo di paura. Come se il pensiero non detto fosse: voi ci mettete a rischio, con le mascherine abbassate e i vostri assembramenti.

Voi, irresponsabili, non pensate a quanto rischiamo noi, se il virus torna. Ma, se nei locali colmi del weekend i ragazzi dovessero rispondere, direbbero magari bruscamente che sono stati prigionieri per mesi e che hanno voglia di stare con gli amici, di ridere, di fare l’amore: che hanno voglia di tornare a vivere. E lo direbbero con, nella voce e negli occhi, il tono di chi si riprende un suo diritto. Sono cose sommerse, non apertamente esplicitate, eppure nell’estate del dopo Covid pare di avvertire un principio di tensione fra generazioni, intimamente spinte in direzioni opposte: negli anziani un’indicibile paura di morire, presi dal nemico invisibile, nei ragazzi, che si credono invulnerabili, quella di non poter vivere come prima. E come un’ombra di risentimento tra gli uni e gli altri, accennata nello scuotere del capo dei vecchi che rincasano adagio: 'Ragazzi egoisti', li senti mormorare.

Ma la stessa ombra abita nei ventenni senza lavoro, o sottopagati, o eterni precari, quando osservano che chi è vecchio oggi ha almeno la pensione, e loro forse non l’avranno mai. Un germe di conflitto fra generazioni, cinquant’anni dopo il ’68? Allora era l’autorità, il 'padre', il nodo del conflitto. Dopo l’epidemia che ha stremato l’Occidente ciò che divide pare più concreto e più triste: il lavoro e il benessere che i giovani non avranno, la salute e la vita che i vecchi vogliono conservare. In un dialogo in cui non ci si sta a ascoltare. Almeno esserne coscienti, noi, almeno essere provvidenti e capaci, quelli che hanno potere politico ed economico di regolare e di decidere, almeno essere capaci di dare a tutti misura e serenità...

Questo ci potrebbe aiutare a districare la matassa di aggressività che inevitabilmente questi mesi ci hanno lasciato. Perché non si apra una crepa fra istinti e ansie contrapposte, che ulteriormente ci divida. Bello sarebbe poter guardare le coppie canute di questo amaro 2020, il loro incedere lento, e provare tenerezza; e ascoltare le voci e le risate dei ragazzi, la sera, e rallegrarsi per loro. Come fossero, gli uni e gli altri, tutti padri e figli nostri. Come riuscendo a averli tutti a cuore. Marina Corradi © RIPRODUZIONE RISERVATA

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