mercoledì 24 ottobre 2012
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​Caro direttore,
circa la squalifica di Lance Armstrong, mi permetta di andare controcorrente. Lo so, lo so: gli scorretti vanno puniti e il doping è una piaga. So tutte queste cose e le condivido al punto da ritenere superfluo parlarne. Ma mi permetta di dire che la vicenda del ciclista texano è un pugno nello stomaco alla speranza. Che bella storia era quella dell’atleta capace di risalire la montagna della vita partendo da un letto di ospedale fino alle cime dei Pirenei. Che forza che trasmetteva pensar che un’impresa del genere fosse possibile. Che speranza. Invece tutto è caduto. Pagine e pagine di testimonianze, sebbene nessuna provetta le confermasse, hanno cancellato l’impresa. Squalificare Armstrong, e non voglio entrare nel merito dell’istruttoria che ha portato a tal decisione, significa anche bruciare sulla pira la sua bella storia di speranza. E qui vado controcorrente: forse, forse, sarebbe stato più bello tacere, lasciare a lui i sette tour e a tutti i giovani la speranza di poter vivere una favola impossibile.
Federico Vincenzi, Brescia
Lo spirito con il quale lei scrive è bello e apprezzabile, caro signor Vincenzi. Assai di meno la sua conclusione "controcorrente": meglio non indagare su Armstrong per salvare il mito luminoso che svelare il lato oscuro dell’«impresa» del ciclista che aveva sconfitto il cancro e tanti altri campioni. E poi ci sono altre storie di sport che fanno crescere la speranza e non sono inquinate dal sospetto, dal sotterfugio e dall’inganno. Penso soprattutto, anche se non solo, a quelle scritte al cospetto del mondo nelle recenti Paralimpiadi di Londra. Però è vero, stavolta persino più di altre volte, il «pugno nello stomaco» fa proprio male. Si può continuare a sperare che non sia vero, ma far finta di niente è impossibile: si può tacere per dolore, mai per speranza.
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