venerdì 14 agosto 2015
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Caro direttore, le parole chiare e forti del vescovo Galantino all’indirizzo dei politici che lucrano consenso facendo demagogicamente leva sulla paura degli immigrati hanno suscitato un vespaio di reazioni. Lasciamo stare quelle volgari di chi ha accusato la Chiesa di non capire o di guadagnarci su. Esse semmai avvalorano il severo giudizio del segretario della Cei. Dunque non merita tornarci su. Ma ve ne sono due che mi hanno colpito e che invece merita siano messe a tema. Segnatamente quella di Marcello Pera e quella del presidente del Veneto Luca Zaia. Pera, uno dei "maître á penser" del pensiero cosiddetto Teocon, muove a Galantino due rilievi tra loro connessi. Primo: quello di piegare il cristianesimo in una direzione ideologico-politica, snaturandone lo statuto religioso. Secondo (in verità in contraddizione con il primo): quello di pregiudicare così la valenza del cristianesimo quale fondamento della civiltà occidentale (questa sì una riduzione ideologica del cristianesimo). L’occasione è utile per replicare a tesi che, con mia sorpresa, in un recente passato, hanno fatto breccia anche in settori della cattolicità, che hanno interpretato quella corrente di opinione come un’apprezzata compagna di strada. Primo: le parole di Galantino sono l’esatto contrario di una arbitraria lettura politica e di parte del cristianesimo. Sono semplicemente il portato del Vangelo preso sul serio. Basterebbe masticare un po’ di Scrittura e di buona teologia. Secondo: è storicamente incontestabile che il cristianesimo – non da solo, si pensi all’illuminismo e al pensiero greco e romano – abbia concorso a forgiare la civiltà occidentale. Ma, di nuovo, se non si annacqua la Parola, il rapporto tra cristianesimo e civiltà occidentale moderna è decisamente controverso. Vi sono profili di esso assai problematici se non agli antipodi di una matura coscienza cristiana. In sintesi: come si è potuto dare credito a una corrente di pensiero così vistosamente priva di cultura teologica, che degrada sino a snaturare il cristianesimo come “religione civile”? Smarrendo la elementare distinzione tra evangelizzazione e processo di civilizzazione occidentale. E spingendo la Chiesa a svilire il profilo critico-profetico del suo magistero rispetto alle forme della civiltà. E veniamo a Zaia. Da lui nessuna pretesa teorica, ma la più pragmatica (e insidiosa, perché non priva di riscontri empirici) obiezione secondo la quale si darebbe una profonda distanza tra il registro di monsignor Galantino e il diffuso sentire del popolo cattolico veneto e, più in genere, del nord Italia (laicato, ma anche clero). Come a mettere in guardia i pastori dal non farsi sconfessare dalle comunità loro affidate. Difficile negare che il verbo leghista, magari in forma temperata, tuttavia abbia fatto breccia nelle regioni un tempo denominate bianche. Talvolta rimasticando una vulgata del suddetto pensiero Teocon e della sua retorica circa una presunta identità cristiano-occidentale da difendere dai nuovi barbari. Intendiamoci: la circostanza che settori del popolo cattolico indulgano a perbenismo e senso comune un po’ corrivo non è una buona ragione per chiedere di praticare sconti nel proclamare gli esigenti dettami del Vangelo a chi, per il suo ministero, riveste compiti di guida e di insegnamento. Semmai il contrario. Tuttavia, va riconosciuto, trattasi palesemente di problema culturale e pastorale di prima grandezza. Che prescrive due virtù solo all’apparenza antinomiche: chiarezza e nettezza nell’annunciare una Parola che sfida il senso comune (stoltezza e follia, ci ammoniva San Paolo), ma anche pazienza e umana attenzione verso la condizione concreta di persone e comunità più facilmente esposte alla predicazione irresponsabile degli imprenditori politici della paura. Franco Monaco, deputato del Pd Condivido diverse sue riflessioni, gentile onorevole Monaco. Ma penso anche che ci sia spazio per un limpido ed evangelico pensiero cristiano “conservatore”. Non considero mio un tale pensiero, perché mi è stato insegnato che il Vangelo è “tradizione” nel senso più vero del termine, un movimento in avanti che si sostanzia nella gioia e nella responsabilità del "tradere", cioè del trasmettere e non del trattenere. La "sequela Christi", la costruzione del Regno, è un cammino da affrontare con spirito umile e fedele, ma con bisaccia leggera. Eppure rispetto e a volte ammiro quel pensiero, perché quando è buono e profondo contribuisce ad alimentare il nostro umanesimo, e perché sono innamorato dei diversi modi di praticare la fedeltà all’unica Parola di vita che la Chiesa custodisce.Lo rispetto davvero anche in taluni esiti della sua versione Teocon, così come rispetto i sentimenti e le preoccupazioni di chiunque (e a maggior ragione della cosiddetta “gente perbene”, che non è sinonimo di “sepolcri imbiancati”) anche davanti ai fenomeni migratori (che vanno regolati e non esorcizzati), ma non accetto in alcun modo i cinici giochi di coloro che lei chiama «gli imprenditori politici della paura». Quanto poi a certi non credenti che, ostentando tale condizione, continuano pensosamente a fare la morale a noi cristiani e a spiegarci che cosa dobbiamo credere e come dobbiamo stare al mondo, mi impegno da anni a esercitare con loro un ascolto sereno e a cogliere le occasioni di possibile dialogo. E quando, come si dice a Roma, cominciano a sbarellare (da qualche tempo succede spesso) cerco di esercitare la virtù della pazienza. Sono ovviamente liberi di dire e addirittura di stradire. Ma, per quanto mi riguarda, possono farlo dai loro pulpiti.
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