Non serve un Ministero per sostenere i legami
venerdì 19 gennaio 2018

Soli con un cane, senza un cane, come un cane. Soli senza nessuno a cui chiedere qualcosa, a cui dare qualcosa. Soli, rinchiusi in un guscio quotidiano sempre uguale fatto dei soliti gesti, la solita minestra, la solita televisione. Finché tutto si spegne. Per quante persone la vita è così, senza scampo? In Gran Bretagna moltissime, se è stata decisa l’istituzione del Ministry for Loneliness, il Ministero per la Solitudine.

La solitudine come la sanità, l’istruzione o la difesa nazionali. Qualcosa di cui prendersi cura in modo specifico, con competenze particolari, per la sua vastità. La solitudine fa male, dirà qualcuno, ma che cosa c’entra lo Stato? La solitudine è un problema individuale, riguarda gli individui e saranno loro a farsene carico. Davvero? Una solitudine sola forse sì. Ma se – come in Gran Bretagna – le persone che vivono 'isolate' (assai peggio che 'sole') sono 9 milioni, allora il problema è sociale e riguarda la collettività. Chi vive isolato senza possibilità di uscita dall’isolamento, infatti, viene considerato alla stregua di un malato.

E si ammala davvero. E muore assai più rapidamente di chi isolato non sia. L’isolamento riguarda gli anziani? Anche, ma non solo, se è vero che in Europa una famiglia su tre è composta di un solo individuo e, tra questi, quattro su dieci hanno più di 60 anni. In Giappone sono considerati malati di isolamento gli adolescenti che si rinchiudono nella loro stanza senza ficcare fuori il naso per settimane e mesi.

Osserviamo bene chi cammina per i marciapiedi delle nostre città, chi fa la spesa nei supermercati: quanti sono accanto a noi ma isolati, lo sguardo fisso e spento, senza scambiare una parola, prigionieri in un bozzolo grigio? Siamo forse una società triste, rancorosa, ingrugnita e priva di slanci anche perché società siamo sempre meno e comunità in troppi casi non siamo più da tempo? Una somma di individui isolati può dirsi società? Eppure la tendenza è questa. L’ha descritta lucidamente 17 anni fa Zygmunt Bauman spiegando che cosa fosse la modernità liquida: «I corpi solidi per i quali oggi è scoccata l’ora di finire nel crogiolo ed essere liquefatti sono i legami che trasformano le scelte individuali in progetti e azioni collettive».

Senza legami, senza sogni individuali che si incontrano, si riconoscono e diventano progetti collettivi, senza occasioni per incrociare uno sguardo e fare qualcosa – qualsiasi cosa, una compagnia teatrale o un tavolo da tressette, un sindacato o un circolo sportivo – siamo tragicamente soli e scivoliamo sul piano inclinato dell’infelicità. Gli individui soli e infelici farebbero qualsiasi cosa e darebbero ascolto a chiunque promettesse il rimedio. E a promettere è soprattutto il mercato, con la rutilante abbondanza di beni capaci di mitigare ansia e nonsenso; rimedio fugace, ma ecco pronti altri beni... come nella corsa dei cani nel cinodromo, destinata a non finire mai con la conquista definitiva della preda.

Ogni volta che creiamo dei legami, e facciamo incontrare desideri e sogni che diventino un progetto collettivo, vinciamo una piccola battaglia contro la solitudine. In Italia siamo bravini. Forse non è ancora il momento di istituire un Ministero. Basterebbe guardare con maggiore simpatia, e sostenere, le associazioni, i gruppi, i volontari. Gli oratori. Le famiglie! Tutti coloro che ricostruiscono o mantengono in vita frammenti di comunità. Chi fa rete e resiste alla liquefazione, non cedendo alle lusinghe del demone del consumo compulsivo. Chi non gioca d’azzardo. Chi non si droga. Chi ama. Chi unisce le isole creando continenti.

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