mercoledì 8 aprile 2015
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Una ciliegina indigesta su una torta insanguinata e maleodorante, della quale conosciamo  purtroppo da tempo la ricetta. Anche se non abbiamo chiari tutti gli ingredienti. La durissima sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo per i colpevoli fatti avvenuti nella scuola Diaz il 21 luglio 2001 è «una decisione scontata», come ha giustamente commentato il sostituto procuratore generale di Genova, Enrico Zucca, che sostenne l’accusa nei processi contro gli esponenti delle forze dell’ordine per quella che, nel corso del dibattimento, uno di loro definì «macelleria messicana». La Cassazione, nelle motivazioni della sentenza definitiva del luglio 2012, che condannava alcuni funzionari di polizia, aveva già parlato di «puro esercizio di violenza» che aveva portato a un «massacro ingiustificabile». In quell’occasione i poliziotti coinvolti, sono ancora le parole della Suprema Corte, «si erano scagliati sui presenti, sia che dormissero, sia che stessero immobili con le mani alzate, colpendo tutti con i manganelli e con calci e pugni». Parole non molto diverse da quelle dei giudici di Strasburgo che parlano di violenze perpetrate «a scopo punitivo, di rappresaglia, mirante e provocare l’umiliazione e la sofferenza fisica e morale delle vittime». Un comportamento che, sottolinea la Corte europea, si qualifica pienamente come 'tortura' ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. Convenzione del 1984, ratificata dall’Italia nel 1988, ma ancora non recepita in una legge apposita. Già, nel nostro Codice penale non esiste il reato di tortura, ed è questa l’accusa più grave che i giudici europei ci fanno. Perché proprio la mancanza di un apposito reato ha impedito di fare giustizia per quel gravissimo e drammatico fatto. Che nessuno può e deve più contestare. Anche perché fu evidente da subito, da quei terribili dati forniti meno di un mese dopo dagli ispettori del Ministero dell’Interno che nella loro relazione scrissero, con burocratica ma drammatica precisione, che «delle 93 persone trovate all’interno della scuola e poi arrestate, 62 sono state ricoverate in ospedale con prognosi variabili: il 24% fino a 5 giorni; il 36% da 6 a 10 giorni; l’11% da 11 a 20 giorni; il 18% da 21 a 40 giorni; il 5% con prognosi riservate». Numeri che è bene ricordare, anche oggi. Certo, quei terribili fatti – e anche questo non va dimenticato – arrivavano dopo due giorni di durissimi scontri per le vie dei Genova, coi black bloc (e non solo loro) scatenati contro le forze dell’ordine e contro tutto. Giorni di sangue, quello del giovane Carlo Giuliani ucciso da un colpo di pistola mentre dava l’assalto a un mezzo dei carabinieri. Giorni di tensione. Quella che sicuramente covavano i poliziotti mandati, sbagliando, a 'perquisire' la Diaz. Ma niente giustifica quel «puro esercizio di violenza» che ora la Corte europea (ma lo avevano già detto i magistrati genovesi) definisce come «tortura». E per la quale nessuno ha pagato. Undici anni ci sono voluti per arrivare a una sentenza definitiva, pagati con la prescrizione del reato di lesioni gravi, l’unico utilizzabile in mancanza di quello di tortura. Così i funzionari di polizia sono stati condannati solo per falso ideologico, cioè per aver affermato che nelle Diaz erano state trovate alcune bottiglie molotov, che vennero esibite come prova ai giornalisti, ma che in realtà erano state portate proprio dai poliziotti. Reato sicuramente meno grave, anche se, di fatto, ha mandato 'in pensione' molto anticipata alcuni dei più bravi investigatori italiani, grandi esperti di mafie. Che sarebbero stati preziosissimi in questi anni. Ma che ci facevano lì a guidare, male, un’azione di ordine pubblico? È uno dei misteriingredienti della torta maleodorante che ancora non si è riusciti a individuare. Così come quello della pessima gestione della 'piazza' nei giorni precedenti, come se si cercasse il morto (non per forza un manifestante), coi risultati che avrebbero poi 'giustificato' sia l’operazione Diaz sia quanto, non meno grave, accaduto nella caserma di Bolzaneto (la Corte europea dovrà presto occuparsene per altri ricorsi). Alla fine a pagare sono stati i genovesi, i ragazzi pestati alla Diaz, e alcuni funzionari. Ma la catena di comando non si fermava a loro. Ci furono responsabilità più in alto, sia nelle forze di polizia sia a livello politico. La domanda resta, come la memoria. E con essa la necessità di adeguare finalmente la nostra legislazione. Dopo Genova le forze dell’ordine hanno dimostrato più volte di saper controllare e proteggere le manifestazioni con democratica efficienza, subendo a volte, con encomiabile e lucida professionalità, provocazioni e violenze. E poter contare su questo, in anni così difficili per la tenuta della coesione sociale, è una garanzia importante. Sta al Parlamento approvare ora la norma sul reato di tortura, superando dubbi e resistenze. Rischi di forzature, o all’oppposto, di disapplicazioni? Ci sono, inutile nasconderselo. Sui magistrati incombe, perciò, il dovere di usare una rigorosa misura. E non ci arriveremo mai abbastanza presto. Sarà un altro parziale risarcimento per chi, di quel giorno, ricorda solo sangue e manganelli. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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