lunedì 7 luglio 2014
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​Come una freccia che colpisce il bersaglio, così il breve discorso pronunciato a Campobasso da Papa Francesco sui temi dell’economia e del lavoro ha la forza per mettere la cultura contemporanea di fronte alle sue proprie responsabilità: per avere un futuro, l’economia deve tornare a essere al servizio dell’uomo. Tutti, a parole, sono d’accordo. Ma, come dimostra la situazione nella quale ci troviamo – enormi squilibri nella distribuzione della ricchezza, disoccupazione ai massimi storici, continua accelerazione dei tempi di vita e di lavoro, frammentazione della vita personale e familiare – la realtà pare andare in ben altra direzione. Nonostante le mille dichiarazioni, la dignità delle persone viene ancora ripetutamente calpestata. Dobbiamo dunque considerare le parole di Francesco come una esortazione rispettabile ma inefficace sul pratico? Io credo di no. E dico questo pensando al momento storico che stiamo vivendo – col suo enorme carico di sofferenza – che potrebbe, paradossalmente, contenere l’occasione di un cambiamento più profondo. Proprio nella direzione indicata da Papa Bergoglio. La crisi, infatti, ci dice chiaramente che una crescita economica che si pensa slegata dallo sviluppo umano e sociale non si regge e tende a deragliare, producendo povertà, ingiustizia, depressione.Anche se facciamo ancora fatica a comprenderlo – soprattutto in Italia – l’uscita dalla crisi non sta tanto nella attesa inerte di una "ripresa", che dovrebbe poi magicamente risolvere tutti i problemi. La soluzione, diciamo sempre, sta nelle riforme. Ma le riforme di cui abbiamo bisogno devono essere capaci di inaugurare una nuova fase ed emendare così l’economia contemporanea dai gravi difetti che stanno alla base del dissesto di questi anni: rimettendo al centro della scena la dignità di ogni persona. E con essa, il senso stesso della crescita economica.E, in effetti, è proprio di questo ciò di cui parla il dibattito internazionale più avanzato: dove i temi posti da Francesco – una nuova centralità del lavoro, l’urgenza di nuove alleanze, la sostenibilità della crescita, la ricerca di un equilibrio più avanzato tra economia e vita personale e familiare – appaiono tutt’altro che marginali.Finita la fase dell’espansione finanziaria illimitata, ci si rende conto che, per ritrovare la via del futuro, occorrono almeno due ingredienti. In primo luogo, occorre una politica economica capace di combattere gli eccessi di disuguaglianza che si sono venuti a creare attraverso una nuova centralità da attribuire al lavoro. Lo dimostrano i fatti: oggi le imprese di successo non sono più quelle che sfruttano una manodopera sempre più precaria, ma quelle che diventano consapevoli di essere comunità di persone, i cui destini sono legati a quelli dei loro dipendenti/collaboratori. Certo, non tutte le organizzazioni seguono già questa via. E intraprenderla non è facile. Ma non c’è altra strada.Il secondo ingrediente è la produzione di "valore condiviso", che nasce dalla capacità di scrivere alleanze in vista del raggiungimento di priorità comuni. Francesco propone un "patto per il lavoro". E declina così concretamente questa seconda dimensione. È sempre più evidente, infatti, che occorre andare oltre sia l’individualismo neoliberista, sia lo statalismo corporativista. Se si osservano gli andamenti degli ultimi anni, si può constare che, nelle condizioni che si sono venute a creare con la crisi finanziaria – e che sono irreversibili – ad affermarsi saranno quelle imprese, quei territori, quei sistemi politici che sapranno stringere alleanze per produrre valore. Valore economico certo, ma anche valore di legame e di senso. Alleanze tra interessi diversi capaci di riconoscere il bene comune che li tiene insieme e li mette in relazione col resto del mondo.Uno di questi valori è la sostenibilità ambientale: passare da un’economia dello sfruttamento delle risorse della terra a un modello che fa del vincolo ambientale una leva per l’innovazione. Un secondo valore è il già richiamato tema del lavoro: una economia sostenibile sa che deve puntare alla piena occupazione e a forme di impiego più rispettose della dignità personale. Un terzo valore è quello dell’equilibrio tra esistenze economiche e la vita delle persone e delle comunità. È questo un aspetto ostico in una cultura che tende a idolatrare l’individualismo radicale e l’efficienza tecnocratica. Ma anche su questo, la sfida di Papa Francesco coglie un punto centrale, perché è evidente che l’uomo contemporaneo – presuntuosamente convinto di essere il padrone del proprio destino – rischia di finire asservito a quegli apparati che lui stesso ha costruito. Parlare della domenica, come ha fatto Francesco, non è un omaggio alla tradizione. È il richiamo forte, all’uomo di oggi, affinché non smetta di cercare, di interrogarsi. Perché solo riaprendo il suo cuore e la sua intelligenza a ciò che non è strettamente economico e strumentale, l’essere umano può mantenere il bene più grande di cui dispone: la sua libertà. La libertà di un figlio che sa di dover custodire tutto ciò che gli è stato affidato.
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