venerdì 10 giugno 2022
Un educatore in una cooperativa sociale lamenta il mancato rispetto dei diritti e la precarietà del suo lavoro. Il problema è che lo Stato e gli Enti locali costruiscono i bandi degli appalti...
«Noi, lavoratori delle coop sfruttati» La logica del massimo ribasso
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Caro direttore,
ho letto su 'Avvenire' di venerdì 3 giugno, nell’articolo di Cinzia Arena, che «in alcuni settori le cooperative, il cui ruolo è riconosciuto dalla Costituzione all’articolo 45, sono indispensabili […] nel welfare erogano servizi a sette milioni di persone». Io lavoro da anni come educatore in una cooperativa sociale e a mio parere a essere indispensabile dovrebbe essere il rispetto dei diritti degli operatori sociali, degli educatori, dei lavoratori e delle lavoratrici tutti e tutte. Queste figure, invece, sono troppo spesso sottopagate e costrette a lavorare in condizioni di profonda instabilità a causa del meccanismo delle gare d’appalto attraverso le quali gli enti pubblici (Comuni, Regioni) assegnano la gestione dei diversi servizi. Altissimo è per loro il rischio di andare in ' burn-out', sindrome tipica delle cosiddette professioni di aiuto. Noi che lavoriamo nei servizi scolastici, ogni estate rischiamo di non avere uno stipendio (e spesso molti educatori non ricevono né un salario né un’indennità di disoccupazione, avendo un contratto a tempo determinato). Credo che potrebbe essere utile fare luce su questa interessante questione e sulle dinamiche che hanno portato Stato ed enti pubblici territoriali a delegare servizi essenziali, così delicati e importanti al Terzo settore, dove spesso le cooperative operano come delle vere e proprie aziende all’interno di un’economia capitalista e votata al profitto, a discapito delle persone a cui si rivolgono (persone fragili come anziani, soggetti con disabilità o con disagio socioeconomico- culturale), delle loro famiglie e dei lavoratori stessi. Con profonda stima e rispetto per il vostro lavoro.

Matteo L.


Gentile Matteo, nella lettera a cui il direttore mi chiede di rispondere, lei mette il dito in una delle piaghe aperte del nostro sistema economico, che ha più 'strati' da sanare. C’è quello, innanzitutto, dello sfruttamento più bieco, delle finte cooperative che nascono (e di solito muoiono velocemente per evitare i controlli) solo per prestare manodopera sottopagata e peggio tutelata ad altre aziende. In molti casi una forma di caporalato mascherato con un sottile velo di finta legalità. Un fenomeno che, in realtà, non coinvolge solo le false cooperative, ma anche Srl e altre società di capitali. Che si sviluppa attraverso il ricorso al subappalto e al lavoro conto terzi. E qui sta uno dei nodi fondamentali. Troppo spesso, infatti, in questo coinvolgere altre imprese in una catena di produzioni di beni e servizi, l’unico criterio considerato è quello di abbassare oltre ogni limite i costi per aumentare al massimo il margine di profitto, a scapito dei lavoratori e delle condizioni in cui operano. Ancora più grave è quando questa stessa logica del mero abbattimento dei costi finisce per caratterizzare pure la Pubblica amministrazione. Troppo spesso, infatti, anche nelle gare d’appalto di Stato ed Enti locali, a essere centrale è il criterio del 'massimo ribasso' dei costi, a volte senza neppure garantire per intero tutte le clausole sociali. Così si costringono le stesse cooperative a praticare una 'concorrenza al ribasso' dei prezzi e non volta al miglioramento dei servizi offerti. Nei capitolati d’appalto dovrebbero invece essere valorizzati il rispetto dei diritti, l’adeguatezza fiscale e la sostenibilità ambientale e sociale. In particolare, l’appalto di servizi alle cooperative e agli enti del Terzo settore deve trovare la sua ragion d’essere principale nel valore aggiunto qualitativo che coop e non profit possono offrire in alcuni ambiti per vicinanza alle persone, conoscenza dei territori, collegamento con associazionismo e volontariato, preparazione specifica e non certo perché il Contratto nazionale dei lavoratori- soci ha minimi salariali generalmente inferiori rispetto a quelli degli analoghi dipendenti di settori come la sanità o i servizi educativi. Quando, al contrario, a prevalere è il mero contenimento dei costi, le conseguenze sono quelle ben descritte da lei, gentile Matteo: lavoratori sempre più precari, presto in crisi, servizi in progressivo peggioramento. Un enorme danno per i dipendenti e gli assistiti, ma in definitiva per tutta la comunità.

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