venerdì 8 luglio 2016
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Gentile direttore,
 
se è vero, come diceva Aristotele, che «è da pazzi voler dimostrare ciò che ovvio» – e spesso oggi siamo costretti a fare questa figura da pazzi – è anche vero che è da pazzi voler negare ciò che ovvio. Per questo, vorrei dire al signor Antonio «cristiano romagnolo piccolo piccolo», la cui lettera sulle «unioni civili» è apparsa mercoledì 6 luglio su “Avvenire”, che se una cosa è ovviamente sbagliata, è sbagliata e basta; non c’entra niente la fede. Il vecchio discorso da sacrestia per cui lasciamo pure fare agli altri quello che vogliono, basta che ci lascino fare quello che vogliamo, a parte che è smentito dai fatti, perché anche noi siamo costretti ad adeguarci alla follia di non dover riconoscere l’ovvio, ma inoltre nega il fatto che il male danneggia sempre tutta la società, anche chi non lo pratica. Il male va denunciato e combattuto... mi pare ovvio. Cordiali saluti e buon lavoro.
Marco Ceccarelli, Roma
 
Nessuno è mai «costretto ad adeguarsi», gentile e caro amico. Magari è (o può sembrare) dura, ma vivere da cristiani non è impresa impossibile. E sono certo che lei, lucido e appassionato com’è, lo sa bene. «Quello che vogliamo», infatti, è una società più umana e più giusta, non una dove si lascia fare perché tanto il mondo va avanti da solo… Lasciamo perciò che siano altri a tirare in ballo l’immagine del «discorso da sagrestia» (peraltro, spesso, nella mia esperienza, infinitamente più denso e ricco di quello da bar o da salotto o da dibattito tv o da comizio) e gareggiamo nello stimarci a vicenda. E dunque a leggere al meglio e a prendere il meglio in ciò che scriviamo e diciamo. Grazie.
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