Nella morte di Fatty e Yaya l'altro lato della sicurezza
martedì 5 febbraio 2019

Fatty e Yaya avevano meno di 20 anni. Venivano dalla Guinea e dal Senegal. Sono morti la notte di sabato a Teverola, nel Casertano, travolti da un’auto mentre in bicicletta percorrevano la statale Appia 7bis. L’auto non ha neanche frenato e dopo l’urto mortale non si è fermata. Il conducente è stato poi individuato e fermato. Antonio Corvino, casertano di 42 anni, pluripregiudicato per droga, truffa e molto altro. «Pensavo di aver colpito un palo», si è giustificato. Ma sulla sua auto, trovata da un carrozziere, erano evidenti tracce di sangue e pezzi di abiti. È finita così la vita di due ragazzi arrivati in Italia da pochi mesi. Sopravvissuti al lungo viaggio nel deserto, alle violenze in Libia, alla traversata su un barcone.

Ce l’avevano fatta. Erano ospitati in un piccolo Sprar a Casaluce, appena 15 persone, la bella accoglienza che il decreto sicurezza sta mettendo in difficoltà. Stavano bene Fatty e Yaya. Erano felici, dicono gli amici italiani. Si erano integrati con la comunità locale, anche con qualche lavoretto. La vita si stava aprendo davanti a questi ragazzi poco più che maggiorenni ma che già tanto avevano sofferto. Anche se il loro futuro era a rischio, effetto della 'stretta' della gestione Salvini. I due giovani avevano fatto richiesta di asilo, ma era stata bocciata: uno aveva ottenuto il permesso temporaneo fino a marzo, l’altro aspettava l’esito del ricorso. Ma la loro vita si è fermata prima, in modo non raro in questa terra. Sono tanti gli incidenti che coinvolgono immigrati, travolti in bicicletta, all’alba o alla sera, mentre vanno o tornano dal lavoro. Non è la morte di immigrati ma la morte di lavoratori, sfruttati, vittime di caporali e di imprenditori senza scrupoli. Teverola e Casaluce sono vicinissime a Villa Literno dove trenta anni fa, il 25 agosto 1989, venne ucciso il bracciante sudafricano Jerry Masslo. Una drammatica morte che portò a una riforma della normativa per il riconoscimento dello status di rifugiato. E vicinissima è Castel Volturno, di cui in questi giorni si parla solo per la presenza della mafia nigeriana (che c’è) e per un poco provato traffico di organi. Ghetto e degrado, certo, dove vivono 15mila immigrati, una situazione vecchia di decenni, molto più che fenomeno criminale. Un problema nazionale lasciato sulle spalle di un territorio già difficile.

Il ministro Salvini ha promesso per Castel Volturno più forze dell’ordine ma col decreto ha spinto altri immigrati, espulsi da Cas e Sprar, a cercare rifugio in questa piccola Africa. Fatty e Yaya avevano, invece, trovato una buona accoglienza. Sì, anche qui. In questa terra sono nate e sono cresciute tante belle esperienze. Come l’associazione che prende nome proprio da Jerry Masslo, che dal 1989 offre assistenza sanitaria agli immigrati. O il Fernandes di Castel Volturno, centro di prima accoglienza per immigrati creato nel 1996 dall’arcidiocesi di Capua. E ancora 'Casa di Alice', villa confiscata alla camorra, dove grazie alla cooperativa 'Nuovi orizzonti', donne vittime di sfruttamento, lavorano creando abiti e un futuro. Pensiamo a Casal di Principe, al centro di accoglienza che porta il nome di don Peppe Diana che già negli anni ’90 aveva capito le difficoltà del fenomeno migratorio e aperto le porte della sua parrocchia. Le stesse porte aperte che avevano trovato Fatty e Yaya. Una piccola storia di accoglienza finita male. Altro che pacchia! Non abbiamo letto nessun commento del ministro Salvini. Niente per condannare chi ha ucciso e vigliaccamente è fuggito. Duplice omicidio stradale e omissione di soccorso, il reato.

Eppure questa è competenza del ministro dell’Interno, molto più dei porti. Ma evidentemente il ministro è più impegnato a occuparsi di chi, le Ong, i soccorsi li fa, salvando vite, non fuggendo. O a svuotare gli Sprar, come quello dove Fatty e Yaya stavano costruendo la loro nuova vita. Non abbiamo letto nulla neanche dell’altro loquacissimo ministro, il responsabile dei Trasporti, Toninelli. Responsabile non solo dei porti più o meno sicuri ma anche delle strade insicure. E fossero stati italiani i ragazzi? No, queste due morti non possono essere derubricate a un banale, se pur drammatico, incidente stradale. Non sono morti di Serie B. Ma una vicenda di cui occuparsi con impegno e dedizione. Da ministri. Non c’è solo la sicurezza dall’immigrazione, c’è anche la sicurezza degli immigrati. Prima i cittadini. Tutti.

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