sabato 3 ottobre 2015
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Le parole pronunciate dall’assassino, prima e durante la strage, sono le tracce che dobbiamo seguire per raggiungerlo, entrargli nel cervello, capire chi è, cosa fa, perché. Ha parlato tanto, prima chattando con sconosciuti ai quali chiedeva lumi sull’impresa che stava per compiere, poi a tu per tu con le vittime, prima di sparargli. Ogni parola è importante. Il giorno prima di caricarsi addosso le armi e mettersi in marcia per far strage in un college dell’Oregon, ha chattato a caso, con chi capitava. Ha spiegato confusamente cosa voleva fare, e ha chiesto consigli. «Non ti conviene un fucile, meglio una pistola», gli hanno consigliato. Consiglio importante, che la dice lunga sul consigliere. Sì, in effetti, è meglio una pistola, perché in uno spazio stretto (una stanza, un’aula), un fucile è ingombrante, e si vede. Una pistola la tiri fuori all’ultimo momento, cogli tutti di sorpresa. Pare quasi che chi ha dato quel consiglio (militarmente saggio), avesse la risposta pronta. Cioè: che avesse pensato anche lui, per farla, per stornarla, per farci un film, o chissà per quali ragioni, un’impresa del genere. Allora la domanda è: ma un’impresa del genere, uno la fa e dieci la pensano?«Vai in una scuola femminile – consiglia un altro –, ci sono meno possibilità che un maschio beta ti disarmi». Tu sei un maschio alfa, il capo-branco. Vai tra le ragazze, farai una strage facile. E più remunerativa. Nel linguaggio militare, si dice "remunerativo" l’atto in cui il risultato vale più dei mezzi che sprechi. Le ragazze sono preziose, nelle famiglie. Una vittima-ragazza impietosisce più di una vittima-ragazzo. E dunque cerca donne, e fai la strage tra loro: metterai in ginocchio intere famiglie. «Domani farò un atto glorioso», preannuncia l’assassino. «Gloria» noi lo usiamo come termine positivo, ma la guerra (l’invasione, la carneficina) lo usa anche per imprese negative: Attila in patria è considerato un eroe glorioso, ci sono statue per lui, e molti bambini si chiamano Attila. Nelle imprese militari (e questa, della strage in una scuola, è sentita da chi la fa e da chi la consiglia come un’impresa militare: la scuola, con i suoi insegnamenti di morale e di civiltà, è un territorio nemico), una spedizione armata che uccide nemici è tanto più gloriosa quanto più numerosi sono i nemici uccisi. A dimostrare che questa "gloria" è buona, sta il concetto che segue: «Domani il mondo sarà migliore». Questo parlare prima di uccidere, ricorda il filmarsi dei kamikaze jihadisti prima della strage. È un modo per vivere due volte la strage: domani quando la farai, e oggi quando la annunci. Detto altrimenti: è un modo per fare due volte la strage. Ma è anche un modo per farla insieme con altri: altri ne hanno notizia e la accettano, non sei solo, ci sono tanti che la spartiscono con te, tu spari ma loro sparano con te. A fare quel che fai tu ci sono stati altri anche in passato: questo pluriassassino cita come esempio un altro pluriassassino, che l’anno scorso ha ucciso sei persone. La nuova strage, che si compie adesso, sarà la sua vendetta. Queste stragi sono una liberazione per chi le fa, una catarsi, e in questa liberazione c’è sempre un "tempo del godimento", quello in cui lo sparatore si sente tranquillo, onnipotente, può uccidere o graziare, scegliere a caso, ogni vita è sua. Questo è il tempo in cui l’assassino è immobile, con l’arma in pugno, e le sue vittime sono davanti a lui, intrappolate, terrorizzate, in piedi o inginocchiate o (qui) stese a terra. In questo tempo, fulmineo e infinito, l’uccisore vuol giocare una partita a tre: lui, l’uomo, Dio. «Sei cristiano?» chiede a chi ha davanti. «Sì», un colpo in fronte. «No», un colpo al ginocchio. Lui non spara all’uomo soltanto, ma anche al Dio in cui l’uomo crede. Raskòlnikov, al momento di uccidere la vecchietta, solleva la mannaia e sente salirgli alla bocca una bestemmia. Per offendere l’umanità, deve offendere Dio che le sta davanti.
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