40 anni dopo: Dalla Chiesa e le mafie. Né complici né silenziosi
sabato 3 settembre 2022

«Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi "dipendenti" i nostri alleati». Queste parole andrebbero lette e rilette, imparate a memoria, ricordate ogni volta che si parla di mafie e, soprattutto, quando si devono prendere decisioni. Perché queste parole sono la vera antimafia. Quella che va oltre la repressione, l’antimafia dei diritti contro la mafia dei favori. Ed è incredibile che a pronunciarle sia stato uno dei più bravi protagonisti del contrasto alla criminalità, quella terroristica e quella mafiosa.

Sono parole del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nell’ultima intervista a Giorgio Bocca del 10 agosto 1982, meno di un mese prima di essere ucciso dai killer mafiosi. Era il 3 settembre 1982 e in via Carini, sotto il piombo di "cosa nostra" finirono anche la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo.

Quaranta anni fa il vincitore delle Br inviato in Sicilia come superprefetto antimafia, ma senza le "armi" che aveva richiesto e che gli erano state promesse («Non mi risulta che questi impegni siano stati ancora codificati», denunciava nell’intervista), aveva capito benissimo quale fosse la vera forza della mafia. Quell’intreccio di favori che i mafiosi concedono, mai gratis, legando a sé piccoli e potenti. Ma il generale aveva capito bene anche l’evoluzione territoriale e economica delle cosche. «La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. Vede, a me interessa conoscere questa "accumulazione primitiva" del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti à la page. Ma mi interessa ancora di più la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci, magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere».

Lo diceva quaranta anni fa e sembra oggi, soprattutto in questa fase drammatica, tra pandemia, guerra, crisi energetica ed economica, nella quale le mafie si muovono agevolmente, acquisendo affari, alleanze e complicità. Sempre un passo avanti, come per le energie rinnovabili, da anni affare dei clan, e oggi strategiche. Per questo gli occhi devono essere bene aperti. Sul grande e sul piccolo.

Lo abbiamo scritto più volte, citando magistrati e investigatori, come i boss, appunto grandi e piccoli, si siano mossi con maggior rapidità delle istituzioni, col welfare dei favori, con l’usura soft, con una 'vicinanza' a chi fa più fatica e che non è certo disinteressata. Quegli «elementari diritti», citati da Dalla Chiesa, trasformati in subdola arma di ricatto. Dal piccolo al grande.

Così i soldi mafiosi soccorrono imprenditori in crisi, come aveva denunciato il generale, occupando settori economici anche in vista dei fondi del Pnrr. In fondo lo hanno sempre fatto. E più volte, in questi 40 anni. Spesso indisturbati, alcune volte anche cercati, in alleanze mortali (certo, non per loro...). Dalla Chiesa lo aveva scoperto, ed era intenzionato a intervenire con efficacia. Per questo aveva sollecitato strumenti e uomini. Non li ebbe e, anzi, venne lasciato solo. Facile bersaglio. Anche oggi c’è questo rischio in una stagione nella quale la politica non parla più di mafia, neanche in campagna elettorale.

La lotta alle cosche, ai clan, alle ’ndrine resta 'affare' solo delle Forze dell’ordine e della magistratura, oltretutto in un periodo di bassa popolarità e credibilità di procuratori e giudici. E questo provoca gravi rischi di isolamento. Ancora una volta. Oltretutto, come diceva Dalla Chiesa, la battaglia 'militare' non basta se non è accompagnata dalla battaglia civile per i diritti davvero fondamentali: lavoro, casa, scuola, salute, ambiente. Sono le armi migliori contro i mafiosi, per togliere l’acqua in cui nuotano, per far crescere quell’alleanza che il generale-prefetto avrebbe voluto stringere. Non fece in tempo, e anche adesso i tempi sono molto stretti. Non siano sprecati nel silenzio o nella complicità.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: