venerdì 27 luglio 2012
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​Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Lo ha scritto Nelson Mandela, che una medaglia olimpica non l’ha mai vinta. Concetto splendido. Anche se il mondo non è cambiato mai per lo sport.Andiamo, però. Proviamoci. Londra, i Giochi. Una volta ancora, ogni quattro anni. Le prime Olimpiadi al tempo della crisi che non finisce. Otto anni dopo Atene, quattro dopo Pechino. Tanto sontuose e allegoriche quelle cinesi, quanto celebrative queste di un mondo in riserva e senza certezze. È la terza volta per Londra, privilegio mai finora regalato a nessuna. Sessantaquattro anni dopo l’ultima, i padroni dello sport sono tornati sulla stessa casella. Sempre con un destino avverso da affrontare già nella premessa. Nel ’48 la guerra da dimenticare, adesso una crisi economica che è come una guerra con cui convivere.Londra ci riprova. Non le servivano i Giochi per sentirsi la capitale del cosmopolitismo mondiale. Le sono stati utili però per obbligarsi a richiamare nelle sue strade più soldati di quanti ce ne siano in Afghanistan, tributo al terrore del terrore. Sfondo comune però, verrebbe da dire "normale". Già visto in cento, mille Olimpiadi dove la bomba e la paura viaggiano sempre di fianco al podio.Saranno le Olimpiadi con più pubblico televisivo della storia, ma il gigantismo questa volta dovrà accontentarsi di marciare in sottofondo. Diciassette giorni di gare, 10.500 atleti, 204 Paesi, 26 sport e 39 discipline, 959 medaglie da assegnare. Si può fingere che lo sport non c’entri nulla con lo spread? Con un po’ di imbarazzo, forse sì. Basta crederci, soffrire, correre. Prima che il pessimismo globale fagociti tutto. Anche una medaglia sul petto, metallo fuso che brucia, che fa diventare ricchissimi anche senza soldi.L’Olimpiade, in fondo, lo è sempre stato. Antidoto ai problemi e ai conflitti, parentesi e tregua. Perché regala emozioni, ferma il tempo, costruisce storie. E obbliga ad ascoltarle. Lo sport riconcilia con il senso del limite, i Giochi diffondono senso di squadra, di appartenenza, di impegno feroce. Ne abbiamo bisogno: serve un esempio con l’uomo al centro, con le sue debolezze, ma anche con la sua grande potenzialità. Un emblema vero di rispetto: delle regole e del traguardo.Ci provano in tanti, vince uno solo. L’Olimpiade è vita, lascia il segno comunque. Regala fiducia, basta crederle. E fa dire tutto e il suo contrario. È già successo, e succede a Londra, dipinta come l’edizione più anti-sprechi in assoluto, anche se è costata 15 miliardi di dollari, il triplo dei 5 preventivati, il doppio di quanto spese Atene 2004 per la quale i Giochi furono una mazzata che lasciò il segno su un’economia già allora alla canna del gas.I cinque cerchi comunque resistono: qui tutti assicurano che saranno Olimpiadi ecologiche, evocative, nobili, prenotate dalle imprese delle atlete femmine. Le medaglie sono più grandi di quelle del passato ma anche quelle d’oro ora sono fatte di rame e argento. L’oro è terminato pure sull’altare di Olimpia, e il vero traguardo è essere finalmente consci che lo sfarzo faraonico di queste occasioni non ha più senso né cittadinanza.Si parte, lontani anni luce da quella manifestazione di muscoli e draghi di cartapesta che fu l’edizione cinese del 2008. Erano quelli gli ultimi fuochi di un mondo che fingeva di non sapere che sotto il paravento dello sport planetario, da celebrare come se la festa fosse infinita, covava la brace del disastro economico globale. Qui nessuno finge, la depressione correrà come un fantasma nella corsia accanto. Ma finirà fatalmente per non arrivare prima.Proprio per questo l’Olimpiade che si apre promette di regalare una sua sincera dignità. E una sua missione. Quella dello sport riportato nella culla dei gesti bianchi, il tennis tra le mura antiche di Wimbledon, il calcio in quelle rifatte di Wembley, l’atletica tra le corsie di Momenti di Gloria, le discipline del remo nelle acque torbide e storiche del Tamigi. Perché i Giochi non mentono mai. Esprimono il loro tempo, si nutrono dei luoghi che attraversano. Colori, razze, bandiere, tutti insieme. Nonostante tutti. Non c’è guerra, politica, depressione finanziaria che tenga. I Giochi sono, erano, saranno. Senza illusioni. Senza salvatori e salvataggi.Andiamo allora. Lo sport non cambia il mondo, ma aiuta a comprenderlo. O almeno a superarlo. Subito, in un soffio di tempo che vale tutto.
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