Miccia riaccesa nello Yemen
venerdì 3 novembre 2023

Come in un tragico “vaso di Pandora” ormai aperto, il conflitto tra Hamas e Israele può riaccendere anche quello nello Yemen, dove la tregua non si è mai trasformata in un formale cessate il fuoco. Dopo l’avvio dei bombardamenti israeliani su Gaza, gli houthi, ovvero il movimento-milizia sciita yemenita sostenuto dall’Iran e che controlla il nord ovest dello Yemen, hanno infatti minacciato Israele, lanciando poi droni e missili a lunga gittata contro il territorio meridionale dello stato ebraico sul Mar Rosso. E non passa giorno che Abdel Malek Al Houthi, il leader del gruppo che porta il nome della sua famiglia, non rivendichi l’appartenenza all’“asse della resistenza” (contro Israele e Stati Uniti) guidato dall’Iran.

Se guardiamo alle tante milizie filoiraniane del Medio Oriente come a una costellazione di stelle che orbitano intorno alla super-stella di Teheran, gli houthi sono di certo la stella meno luminosa (per capacità militare), più periferica (lontana dall’arco Teheran-Baghdad-Damasco-Beirut) e più autonoma (dipendono dalle Guardie della Rivoluzione Islamica per le armi ma non per i finanziamenti). Gli houthi rivendicano l’autonomia politica e religiosa del nord yemenita e hanno un’agenda locale. Non sono una creazione dell’Iran post-1979 e appartengono persino a una branca differente dell’Islam sciita (zaiditi anziché duodecimani come gli iraniani). Eppure, dal 2015, gli houthi sono militarmente cresciuti proprio grazie a un patto con l’Iran, stretto per “resistere” ai bombardamenti dell’Arabia Saudita in Yemen seguiti al loro colpo di stato. Dal 2019, Israele ha dunque alzato la guardia verso le minacce provenienti dallo Yemen.

D'altronde, “morte a Israele” e “maledizione sugli ebrei” sono parte dello slogan – di stampo khomeinista – degli houthi; la storica comunità ebraica dello Yemen si è ridotta a pochissime unità complice la guerra e l’ascesa del movimento-milizia, costretta alla fuga da discriminazioni e violenze. Oggi gli houthi dispongono di missili, di origine iraniana, potenzialmente in grado di colpire il territorio israeliano. Adesso, la guerra fra Hamas e Israele può costituire un punto di svolta, in negativo, anche per lo Yemen. Spingendo ancor di più gli houthi nell’orbita dell’Iran e il cessate il fuoco fuori dall’orizzonte.

Dopo il 7 ottobre, il movimento-milizia sta infatti mostrando il suo volto proxy, agendo per conto dell’Iran e coordinandosi con gli altri gruppi regionali. Da una prospettiva strategica, gli attacchi degli houthi verso Israele rappresentano fin qui azioni di disturbo: il “fronte del Mar Rosso” costringe lo stato ebraico a disperdere energie, aumentandone il senso di accerchiamento. Però, se Hezbollah dovesse ufficialmente aprire il fronte del Libano contro Israele, è assai probabile che gli houthi intensificherebbero gli attacchi. Per il movimentomilizia yemenita, Hezbollah è infatti un mentore che l’ha fatto crescere militarmente, insegnandogli i trucchi della guerra asimmetrica (prima facevano guerriglia sulle montagne), nonché il lancio e l’assemblaggio dei droni. Per Abdel Malek Al Houthi, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, è un modello da imitare per “stile” (dalla voce calma anche quando lancia anatemi fino all’anello portato al mignolo), propaganda (vedi i manifesti), ma soprattutto per aver creato uno “stato nello Stato” nel sud del Libano, come gli houthi hanno poi fatto nel nord ovest yemenita. Per l’Arabia Saudita, che stava dialogando con gli houthi per sigillare il confine saudita- yemenita, è un brutto colpo.

Mentre Riyadh ospitava la “Davos del deserto” per promuovere gli investimenti di Vision 2030, gli houthi sono tornati ad attaccare la frontiera, uccidendo quattro soldati sauditi mentre il regno abbatteva un loro missile diretto verso Israele. Anche senza la normalizzazione (ora congelata), Arabia Saudita e Israele si ritrovano a combattere gli stessi nemici. Con una nuova guerra, a Gaza, che rischia di riaccendere un conflitto mai spento, in Yemen.

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